la Repubblica, 13 luglio 2016
È il giorno di Theresa May
Il premier dimissionario fa le valige, la premier in pectore sfoglia la rosa del nuovo governo e il leader dell’opposizione viene accusato di essere il mandante di minacce alla sua rivale. Il terremoto post-Brexit continua, tanto da produrre le prime indiscrezioni su possibili elezioni anticipate: Theresa May, che assume stamane l’incarico di primo ministro, continua a dire che non vuole farle, ma un sondaggio sul Daily Mail indica che al momento vincerebbe con una maggioranza ancora più ampia di quella ottenuta da David Cameron nel 2015. E la tentazione di approfittare di un partito laburista perfino più diviso dei conservatori potrebbe diventare irresistibile. Non per nulla, quando Gordon Brown prese il posto di Tony Blair nel 2007 in un “golpe” laburista, lei sostenne che il nuovo premier avrebbe dovuto ricorrere subito alle urne se voleva avere un mandato popolare.
Tra i camion dell’impresa di traslochi che ieri caricavano bagagli ed effetti personali della famiglia Cameron a Downing street (per trasportarli provvisoriamente nella casa di campagna nell’Oxfordshire: l’appartamento di Londra, nel quartiere di Notting Hill, l’hanno dato in affitto), e il “toto-ministri” pubblicato dai giornali sulla composizione dell’esecutivo della May (la lista completa potrebbe essere annunciata già stasera), un nuovo sasso fa sussultare le già movimentate acque della politica britannica. Letteralmente: una pietra, o meglio un mattone, scagliato contro la vetrina dell’ufficio di Angela Eagle, la deputata che ha sfidato Jeremy Corbyn per la leadership del Labour. Nessuna vittima, ma parecchia paura: aumentata da minacce di morte contro di lei e contro il proprietario di un locale di Luton, periferia della capitale, dove la Eagle doveva tenere un comizio. L’evento è stato cancellato per ragioni di sicurezza, visto il precedente dell’assassinio della deputata Jo Cox prima del referendum. «Un episodio estremamente preoccupante, condanno ogni violenza e invito tutti i membri del partito e i loro sostenitori ad agire con calma e a trattarsi l’uno con l’altro con rispetto, anche quando ci sono disaccordi», commenta Corbyn, affermando di avere ricevuto anche lui attacchi e minacce di morte. Ma alla sua avversaria non basta: «Questo genere di attacchi provengono dai sostenitori di Jeremy, è lui che deve fare autocritica».
L’allusione è a Len McCluskey, capo dei sindacati, che nei giorni scorsi ha definito la candidatura della Eagle «un tentativo di linciaggio» contro Corbyn. E che ammonisce la dirigenza del partito: «Impedire a Corbyn di partecipare alle primarie sarebbe uno sporco imbroglio». Proprio di questo ha discusso per tutta la giornata il Comitato Nazionale del Labour in una seduta fiume, con Corbyn presente, in cui alla fine è stato deciso a scrutinio segreto che il leader in carica non ha bisogno del sostegno di un minimo di 50 deputati per ricandidarsi: ha automaticamente diritto di essere in lizza. Corbyn farebbe fatica a ottenere la firma di 50 colleghi, avendo ricevuto solo 40 voti, contro 172, nella recente mozione di sfiducia del gruppo parlamentare laburista. Così invece si ricandiderà alle primarie contro la Eagle.
Paradossalmente, c’è insomma più tempesta nelle file dell’opposizione che in quelle del governo. Cameron ha condotto ieri l’ultima riunione di gabinetto, dispensando e ricevendo complimenti. C’era anche Theresa May, per l’ultima volta come ministra degli Interni: uscendo dal portone di Downing street ha sbagliato direzione, suscitando l’ilarità dei fotografi, “la sua prima gaffe”, titolano i soliti tabloid. Ma non sbaglierà questo pomeriggio, dopo avere ricevuto l’incarico dalla regina, quando entrerà dallo stesso portone nei panni di primo ministro. Per il premier uscente c’è ancora, stamattina, l’ultimo discorso alla camera dei Comuni: il suo addio. Per la sua erede c’è da scegliere il nuovo governo, unire i Tories (dando ministeri a entrambe le fazioni divise dal referendum) e decidere come e quando attuare Brexit. L’unico a non cambiare posto, nel traffico di politici che vanno e vengono, è Larry, il gatto di Downing street: appartiene allo staff e resterà dov’è, indifferente a tutto.