La Stampa, 13 luglio 2016
Pippo Baudo, Giovanni Minoli: i dinosauri tv non si sono estinti
L’ultimo dei dinosauri è Giovanni Minoli. E tutti dovrebbero sapere che i dinosauri sono sempre di gran moda, sotto forme metaforiche e no. Minoli porterà il suo leggendario Mixer su La 7 di Urbano Cairo, e chissà se la notizia armerà l’ironia di chi sa fare due più due e irride le riesumazioni della tv generalista.
Soprattutto della Rai, dove la primizia della prossima stagione, diciamo così, è il ritorno dell’ottantenne Pippo Baudo alla conduzione e alla direzione artistica di Domenica In, spettacolo che a ottobre compirà i quaranta. La rottamazione è infatti una gran cosa specialmente se riguarda gli altri, e così si è ridacchiato sul ripristino di Michele Santoro, ingaggiato da Rai 2 per realizzare inchieste (è un postulato che le inchieste non le faccia più nessuno, vediamo se le farà almeno lui).
Eccolo un altro sintomo della gerontofilia delle emittenti in chiaro: si sostiene che, prive di idee, si affidino a queste specie di statue equestri dell’era catodica per mettersi in tasca qualcosa di qualità. Di esempi ce ne sono ancora parecchi, offerti in particolare dai palinsesti della prossima stagione Rai.
Oltre a Baudo e Santoro, rimetteranno la faccia davanti alle telecamere anche Heather Parisi e Lorella Cuccarini, in uno show revival della loro rivalità del millennio scorso. E i punti fermi sono ormai classici, Carlo Conti con le sue serate amarcord e l’eterno Festival di Sanremo, Giancarlo Magalli coi balconcini e i vasi di gerani alle spalle, la fiction Un medico in famiglia che esordì nel 1998, Chi l’ha visto? con Federica Sciarelli, il più antico show della tv di Stato dopo Blob e Un giorno in pretura.
Nel mucchio ci si potrebbe mettere anche Lucia Annunziata, che di vecchio ha soprattutto una professionalità ad altri ignota, e magari il progetto di proporre un prime time con i migliori successi di Adriano Celentano e Mina, roba risalente fino agli Anni 50. A mettere in fila i nomi – Baudo, Santoro, Annunziata, Conti e così via – viene voglia di fare rima con longevità: professionalità. E probabilmente qualcuno sarà contento di rivedere Minoli e Mixer, un format nato nel 1980: il conduttore intervista un ospite, le domande sono quelle che vanno fatte, il ritmo c’è ma non prevale sull’approfondimento.
Difficile trovare qualcosa di più moderno nella programmazione di oggi. E comunque sarebbe anche complicato immaginare le emittenti in chiaro alla ricerca dell’innovazione: l’hanno fatta ai loro tempi, ma ora sono intrattenimento di retroguardia o, meglio, di ossessiva conservazione. Il nuovo viaggia in altri dimensioni, Netflix e tutto l’on demand.
Anche Mediaset continua a poggiare su pilastri come Striscia la notizia e Gerry Scotti e forse la scelta ha a che vedere con i risultati. Basta scorrere i periodici report dello share e dell’audience per verificare che due mesi fa, in prima serata, Rete 4 ha raccolto un milione e duecentomila spettatori (5 per cento abbondante) con la duecentesima replica di Don Camillo e l’onorevole Peppone, film riproposto almeno una volta l’anno, con tutti i prequel e i sequel.
La saga di Fantozzi ottiene più o meno i medesimi risultati e lo stesso vale, per fare un ultimo esempio, con i film di Bud Spencer e Terence Hill: tutta roba redditizia e a costo zero. Chi guarda la tv come dieci o venti anni fa, premendo sul telecomando il tasto uno per partire dal primo canale Rai, si aspetta esattamente Baudo e Fantozzi, e cioè il trionfo dell’archivio, alla ricerca dell’effetto consolatorio della ripetitività e della memoria.
Questa pare essere la riflessione. Il dubbio, semmai, è quanto possa durare un sistema che già è vecchio e continua a invecchiare, in realtà più velocemente dei suoi campioni.