Corriere della Sera, 13 luglio 2016
La nostra testa è rotonda in modo che il pensiero possa cambiare direzione
Sullo sfondo del centenario dada (esordio ufficiale: 5 febbraio 1916, con l’inaugurazione del Cabaret Voltaire), Zurigo presenta alla Kunsthaus (sino al 25 settembre) una retrospettiva di Francis Picabia (1879-1953) con 200 opere – 130 quadri, riviste d’avanguardia, lavori per cinema e teatro, documenti vari, in sequenza cronologica —, a cura di Cathérine Hug e Anne Umland. Il titolo? Riprende un aforisma dell’artista: La nostra testa è rotonda in modo che il pensiero possa cambiare direzione.
Creatore inquieto, pittore, poeta, pamphlettista ed anche editore di riviste (a Barcellona fonda 1891, dove pubblica articoli e versi apparentemente assurdi), per un certo periodo Francisco Martinez de Picabia de la Torre (1879-1953) – studi saltuari all’École des arts decoratifs e apprendistato nello studio di Fernand Cormon, maestro di Van Gogh e di Toulouse-Lautrec – costeggia il dadaismo zurighese (Tzara, Ricter, Arp che lo chiama «il Cristoforo Colombo dell’arte»).
Prima Picabia guarda agli impressionisti (Sisley e Pissarro, soprattutto: «Mi hanno insegnato a camminare»), seguiti, fra il 1910 e il 1920, da cubisti e fauves; dalla creazione, con Duchamp, Metzinger e Apollinaire, del gruppo della «Section d’or»; l’adesione alla pittura orfica. E ancora: un paio di soggiorni a New York; la serie delle Macchine ironiche (l’artista si sostituisce all’oggetto); i poemi dei 52 specchi. Quindi, dopo l’accostamento al dadaismo, l’ingresso fra i surrealisti e la repentina uscita appena un anno dopo (1921) dal movimento di Breton. Nella primavera del ‘22, Picabia si trasferisce a Tremblav-sur-Mauldre: inizia il ciclo dei Mostri ispirandosi a Goya e si reca saltuariamente a Parigi. Esposizioni, sceneggiature di film e balletti, fra cui Relâche di Erik Satie, Entr’acte di René Clair, Ciné-sketch di Man Ray e Marcel Duchamp («Picabia? Un caleidoscopio di esperienze»).
Quindi il trasferimento a Mougins, dove precedentemente s’era fatto costruire la villa Chàteau du mai (così chiamata perché costruita, di maggio, su un terreno chiamato appunto castello) per viverci con Germaine Everling. Poi è un continuo mutare di stili. Picabia torna al figurativo; riprende i Mostri (‘24-‘28), cui seguono (‘28-‘34) le Trasparenze (silhouettes sovrapposte a figure riprese dall’iconografia rinascimentale italiana: «Mi permettono, con il loro accavallarsi di ricordi, di esprimere la rassomiglianza dei miei desideri interiori»), il Période verte (‘37), i nudi, sino alle composizioni astratte degli ultimi anni.
Col passare del tempo, allo Chàteau du mai di Mougins, Picabia preferisce gli yacht (Horizon I, II, HI, Yveline) e un nuovo atelier che dà sul porto di Golfe-Juan. Per alcuni quadri sperimenta la vernice a smalto, utilizzata per le barche (asciuga subito). Nel periodo fra la guerra civile spagnola e il secondo conflitto mondiale (durante il quale viene anche arrestato perché accusato di collaborazionismo) Picabia vive piuttosto appartato. Nel ‘40 sposa Olga Elise Mohler e, nel ‘45, lascia la Costa Azzurra per tornare definitivamente a Parigi, dove muore a 74 anni. Telegramma di Duchamp: «Cher Francis, à bientót». A presto. Ma gli sopravvive 13 anni.
Nei quattro lustri trascorsi sulla Costa Azzurra, l’artista rimane fedele alla sua indole di sperimentatore continuo, di «nomade degli stili», di selvaggio. La sua vita – ricca di passioni, polemiche, incontri, esperienze – va di pari passo con la ricerca artistica. L’invenzione costeggia la dissacrazione, la contestazione, l’anarchia quasi. I suoi nudi (che suscitano scalpore) sono ripresi dal vero e anche da riviste porno, da cartelloni pubblicitari. Picabia ama una cosa e il suo contrario: impressionista e anti-impressionista, dadaista e anti-dadaista, surrealista e antisurrealista. L’avventura personale risponde anche ad un ordine estetico.
L’esistenza, per lui, è provocazione, divertimento; e l’arte, l’occasione di un viaggio in cui l’invenzione aggredisce ed inghiotte poetiche e movimenti, compagni di strada ed amici. Carattere insofferente, Francis sembra convertirsi al dadaismo o al surrealismo? È soltanto questione di tempo. Dopo un po’ se ne stacca: «Soffocavo, ogni giorno divenivo più triste, mi annoiavo terribilmente».
L’insofferenza si estende a tutto. Donne e motori compresi. Di auto (Bugatti. Hispano Suiza, Torpedo, ecc.) pare ne abbia cambiate 127. Di donne, una cinquantina. Tre le sposa. Alla fine, Picabia pensa che stili, auto e donne costituiscano l’unico flusso continuo e mutevole per cui valga la pena di vivere.