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 2016  luglio 13 Mercoledì calendario

L’uomo-massa va al mare. Riflessioni dal luglio ’63

Dicono che sulla Costa Azzurra si compiano i più perfetti riti lustrali dell’uomo-massa. E lo do per vero. Il mio albergo, che si affaccia sulla striscia grigia di ghiaia che porta da Nizza ad Antibes, è il punto giusto per vedere come l’uomo si modelli integralmente sui fantasmi dell’industria culturale. Ogni mattina, la striscia di ghiaia che costeggia il mare diventa una passerella di «consumatori» dai riflessi condizionati. Per chilometri, si forma una muraglia d’automobili. Dalle automobili scendono migliaia dì esseri umani che vanno al mare per «consumarlo» come una merce, modellandosi sugli schemi pubblicitari o sui miti correnti.
Uomini e bimbi-massa
Sono di moda i motels. Centinaia dì coppie vivono in squallide casermette nate sulla spiaggia, dove l’uomo cucina e la donna veste come BB. Centinaia di radioline trasmettono musiche uguali. Centinaia di macchine fotografiche fotografano e centinaia di macchine cinematografiche filmano. Molti portano ai riti lustrali dell’uomo-massa anche i bambini, ma rivelando bene, anche in questo, il desiderio dell’uomo moderno di vivere tra i meccanismi. Si vendono, per il bimbo-massa, dei box portatili.
Sono steccati circolari, pieghevoli e le centinaia di coppie che arrivano in macchina mettono i figli nel box, creano uno spazio chiuso nella luce aperta del mare, quasi nel terrore che lo spazio libero, lineare, della spiaggia, e la mancanza di un meccanismo, possano contaminare le nuove generazioni.
Fatto questo, si apre la radio, si fotografa, si filma, ci si veste come BB, come Vadim. Non manca nulla. C’è quello che i sociologi chiamano l’«imìtatìo instrumentorum». C’è l’uomo diventato riproduzione dì riproduzioni e la cui attività in vacanza è basata soprattutto sul procacciarsi delle riproduzioni.
Sono cose abbastanza note. I bisogni dell’uomo sono diventati ormai i bisogni delle merci. Il mare è bello se lo si può fotografare. Ogni cosa deve essere fotografata affinchè sia. Come ha già detto bene Elémire Zolla, il principio del museo è diventato il principio dell’autobioqrafico, la vita è una serie di istantanee, di momenti memorabili e riprodotti. La realtà e la natura esistono solo se sono convertibili in merce, se possono essere «consumate», schedate, accumulate.
Smania di riproduzione
Queste cose piuttosto note non meriterebbero altre osservazioni se quest’anno non si fossero arricchite di un nuovo istrumento. Voglio dire il magnetofono. Ho visto parecchia gente sulla striscia di ghiaia di Antibes che gira, con piccoli magnetofoni a tracolla, aprendoli per fissare conversazioni di spiaggia, per fissare una musica. Ci sono coppie, la sera, che ballano dopo aver messo in movimento il magnetofono sul tavolino del «dancing» per ricordare una canzone.
Il padrone dell’albergo dove abito mi dice che parecchi, di notte, portano la cassettina sulla riva del mare e ne registrano la voce, il silenzio, il rumore delle onde sui sassi. È la smania di riproduzioni che ha così raggiunto una nuova dimensione. A casa, tra due o dieci anni,tutti faranno scorrere il nastro e risentiranno suoni, tonfi, fruscii, rivedendo film e fotografie. Il mare, la sua voce fresca, sono entrati a far parte di quel gigantesco supermarket che ormai è la natura «consumabile». Anche gli incanti notturni non sono più goduti ma utilizzati.
Non voglio fare il moralista. È la moda del ’63. Ma c’è qualcosa di mostruoso in queste coppie accoccolate sulla riva del mare, nel buio, che consumano e archiviano. Le notti viola di Cap d’Antibes sono un supermarket che aspira al museo. Ma un museo perfezionato col «sonoro».
Stralcio dell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera dell’11 luglio 1963 con il titolo «Il mare nel magnetofono».