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 2016  luglio 13 Mercoledì calendario

La Cina non ha diritti sulle isole contese nel Mar Cinese, l’ha detto l’Onu

«La Cina non ha diritti storici di sovranità sul Mar Cinese meridionale e molte sue azioni hanno violato la legalità internazionale». Con questo verdetto emesso all’unanimità da cinque giudici dell’Onu Pechino esce sconfitta, dichiarata fuorilegge, nella sua strategia di occupazione di milioni di chilometri quadrati di oceano e di centinaia di isole, isolotti, scogli, barriere coralline e secche che sono molto più vicini alle coste di altri Paesi come Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei, Taiwan.
Il giudizio pronunciato all’Aia dalla Corte permanente di arbitrato sulla Legge del Mare dà il primo altolà all’espansionismo cinese e appoggia le Filippine, che avevano sollevato il caso nel 2013.
La Cina rifiuta di riconoscere la decisione. «Non accetteremo alcuna proposta o azione contro la nostra sovranità basata sul cosiddetto arbitrato», ha detto il presidente Xi Jinping incontrando a Pechino i rappresentanti Ue Donald Tusk e Jean-Claude Juncker.
La crisi è iniziata quando i cinesi si sono impadroniti nel 2012 di Scarborough Shoal, una serie di scogli di fronte alle Filippine che Pechino ha definito «isole» puntando a far valere una zona di controllo di 200 miglia dal loro centro. Il possesso nazionale di uno scoglio invece ne concede solo 12. Scarborough, ha deciso la Corte Onu, è solo un insieme di scogli che nessun uomo ha mai abitato e non appartengono ai cinesi. Quindi Pechino con la sua azione aggressiva ha violato il diritto. E non sono isole, per la Legge del Mare, nemmeno quelle sette, artificiali, costruite con colate di cemento tra secche e scogli dal genio cinese nell’arcipelago delle Spratly, come una Grande muraglia oceanica.
Il pronunciamento dell’Aia è basato sulla Unclos, «United Nations Convention on the Law of the Sea», sottoscritta anche dai cinesi nel 1996, che prevede un arbitrato dei giudici Onu in caso di contenzioso sollevato da un Paese. Il giudizio della Corte è (dovrebbe essere) vincolante, ma non c’è meccanismo per farlo applicare. Pechino continua a sostenere la «storicità» della sua «irrinunciabile sovranità» in base a una mappa sulla quale il governo nazionalista di Chiang Kai-shek, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, aveva tracciato nove tratti di penna. Quella «linea dei nove tratti» comprende gli arcipelaghi delle Paracel e Spratly (Xisha e Nansha in mandarino) e racchiude il 90% degli oltre tre milioni di chilometri quadrati del Mar Cinese meridionale, una via d’acqua lungo la quale ogni anno passano 5 mila miliardi di dollari di merci e materie prime. E nei cui fondali si valuta che si trovino risorse naturali per 11 miliardi di barili di petrolio e migliaia di miliardi di metri cubi di gas.
Moderata la prima reazione dei vincitori. Il ministro degli Esteri filippino Perfecto Yasay dice che è una pietra miliare, ma aggiunge subito: «Siamo per una soluzione pacifica». A Manila c’è stata qualche festa di piazza, con lacrime e bandiere nazionali.
Già ieri mattina i giornali cinesi erano dominati da titoli come «L’arbitrato è nullo», piazzato dal China Daily su una grande foto di Woody Island (Yongxing in mandarino), una delle isole delle Paracel controllate dall’esercito di Pechino e rivendicate dal Vietnam. La foto mostra un aeroporto costruito a Woody dal genio militare. Viene citata una frase del presidente Xi: «Nessun Paese straniero deve aspettarsi che la Cina possa mandar giù l’amarezza di un danno alla nostra sovranità, ai nostri interessi di sicurezza e sviluppo».
Gli Usa, alleati militari delle Filippine, dicono che la sentenza Onu è un contributo a una soluzione pacifica. Il Pentagono però ha inviato alcune unità della US Navy tra Scarborough e l’arcipelago delle Spratly, con la portaerei USS Ronald Reagan che fornisce copertura. Nei giorni scorsi tre flotte cinesi hanno svolto esercitazioni a fuoco alle Paracel.
Gli analisti del Csis, Center for Strategic and International Studies, sostengono che, senza un intervento deciso, nel 2030 il mare a Sud della Cina sarà «di fatto un lago cinese». Nel 2030 i cinesi avranno anche un numero di portaerei sufficiente a rendere impotenti gli altri Paesi che si affacciano su quel tratto di oceano. Xi Jinping ha assicurato che Pechino e Washington sono troppo responsabili e legate da interessi economici per scivolare in un conflitto. Ma un incidente è sempre possibile. Il colonnello cinese Liu Mingfu, teorico militare, ha detto al New Yok Times : «Solo gli ingenui pensano che una guerra non ci sarà mai».