Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 13 Mercoledì calendario

Le vittime e i sopravvissuti: storie e voci dal disastro ferroviario in Puglia

Francesca Paci per La Stampa
Il nonno di Antonio urla come un pazzo. Per ore la famiglia Summo ha girato da un ospedale all’altro, Andria, Barletta, Bisceglie, cercando tra i feriti il quindicenne che non rispondeva più al cellulare. Giungono all’istituto di medicina legale del Policlinico di Bari verso le 18.
I genitori non ce la fanno a entrare e tocca a questo omone con la camicia madida di sudore riconoscere il nipote tra i corpi a cui ancora mancano i nomi. Solo cinque avevano i documenti addosso: il resto delle borse, gli zainetti, i portafogli, tutto è sparpagliato tra le macerie nella campagna degli ulivi insanguinati. Antonio è lì dentro, il nonno impreca contro il cielo, mamma e papà, fuori, inebetiti nel caldo torrido, rivivono in trance le ultime immagini del ragazzino, quasi a convincersi che la sorte avrebbe potuto essere diversa: «Gli avevamo detto di non andare. Non serviva che pendolasse ogni giorno tra Andria e Ruvo per recuperare quelle due materie. Ma Antonio ci teneva tanto, gli piaceva l’istituto tecnico, voleva seguire le lezioni e arrivare a settembre prontissimo. Non doveva andare e invece è andato e poi il preside della scuola gli ha detto che avendo lavorato bene poteva tornare a casa prima, poteva prendere il treno in anticipo, poteva arrivare per pranzo e non è arrivato più..».
La disperazione
Per tutto il pomeriggio la camera mortuaria del principale ospedale del capoluogo pugliese, dove si trovano 20 delle 27 vittime della tragedia ferroviaria di ieri, accoglie un’umanità sbandata, confusa, disperata ma anche incredula, attonita, aggrappata a speranze già dissolte. Una signora dai capelli argentei indossa ciabatte e una vestaglia a fiori incrociata sul seno, era ai fornelli quando l’hanno chiamata. Due ragazzi barcollano abbracciati, lei ripete singhiozzando «non c’era nessun bisogno che andasse oggi a comprare quel maledetto macchinario ma sembrava sempre che i campi non potessero aspettare». Un uomo sui quaranta s’incammina verso l’obitorio con un bollettino che sbuca fuori dal taschino della camicia, viene direttamente dall’ufficio postale. Lo schianto dei treni dei pendolari ha colto le loro famiglie nella routine di giornate scandite dal bacio del mattino e da quello della sera. Tutti cantilenano il mantra dell’impossibile rassegnazione «Non si può morire così nel 2016».
C’erano braccianti, studenti, impiegati, chi andava e chi tornava, c’era il tessuto produttivo della regione a bordo dei vagoni accartocciati come si fossero divorati a vicenda divorando al tempo stesso la campagna circostante e il contadino ucciso dalle lamiere volanti mentre si arrampicava su uno dei suoi ulivi.
Il poliziotto
C’era Fulvio Schinzari, 59 anni, alto funzionario della polizia di Bari, una scomparsa che lascia i colleghi della Questura balbettanti, sotto shock, tutti incollati alle foto di treni in corsa che Fulvio aveva postato online appena qualche giorno fa. C’era il settantreenne Enrico Castellano, un ex funzionario del Banco di Napoli ormai residente a Torino da quasi mezzo secolo che era rientrato ad Andria lunedì per festeggiare il compleanno del nipotino oggi, 13 luglio, onomastico di San Enrico: data la mattinata oziosamente soleggiata aveva pensato di trascorrere un po’ di tempo con i vecchi amici di Bari, il fratello, la sorella, aveva appuntamento in un ristorante sul mare, qualche ora appena e poi di nuovo in treno per la cena a casa del figlio. E c’era Pasqua, una estetista di trent’anni che come sempre si recava al lavoro da Andria a Bari, poco più di un’oretta di viaggio durante la quale guardare e riguardare sul telefonino gli scatti più recenti della figlioletta di due anni.
Pasqua, come diversi altri, non risulta tra i feriti, il cellulare è muto, sua cugina Tamara, studentessa di medicina a Roma, aspetta notizie sugli scalini della camera mortuaria dove un gruppo di giovani psicologhe si è messo a disposizione per l’assistenza ai famigliari. Non piange, Tamara. Parla e, a tratti, tira lunghi sospiri: «Sono a Bari in vacanza, come ogni estate. Sarà deformazione professionale ma dopo aver chiamato tutti gli ospedali ho cercato di mantenere la calma e sono venuta qui, tra poco arriverà anche il padre di Pasqua. Suo marito invece no, si è precipitato sul luogo dell’incidente ed è rimasto là, vorrebbe scavare tra i rottami. Ci vorranno ancora alcune ore per il riconoscimento, dicono che quattro o cinque corpi sono ridotti molto male, a noi che siamo fuori chiedono segni particolari, cicatrici, tatuaggi, il colore e il tipo degli abiti indossati».
L’obitorio del Policlinico è una sorta di non luogo. C’è un ragazzo di 25 anni che cerca la fidanzata del fratello e poi la trova e vorrebbe non averla trovata e si accascia e singhiozza come un bambino. C’è una signora bionda che si appoggia a corpo morto a un uomo dai capelli bianchi, il fratello di suo padre che, ripete, gli assomiglia come una goccia d’acqua.
Il silenzio e le lacrime
Non hanno voglia di raccontare, ma parlano a voce alta, piangono, imprecano: «Gli piaceva sedersi davanti, sempre davanti, anche in aereo. In treno cercava sempre il posto nel primo vagone. Quando ho realizzato che papà era su quel convoglio ho preso la macchina e ho guidato come un automa fino là, mi sono gettata tra quelli dei soccorsi, mi tenevano in dieci, urlavo che dovevo salvare mio padre».
Cala la sera e le anime perse sono ancora qui. Qualcuno cita la storia della mamma trovata abbracciata alla figlia, morte entrambe, un unico inscindibile corpo. «Meglio non sopravvivere», mormora una ragazza accasciandosi sugli scalini: è stata qui tutto il giorno e solo alla fine l’hanno fatta entrare a guardare tra le salme.

***

Carmine Festa per La Stampa
Non si può fare una classifica del dolore di fronte ad una tragedia come quella che ieri ha sconvolto la Puglia. Ma certo sentire nei corridoi del Policlinico di Bari le urla disperate della madre di Antonio Summo, studente pendolare di 15 anni che ha perso la vita sul binario maledetto, rende il dramma ancora più atroce. Antonio era andato ad Andria per sostenere l’esame all’Istituto industriale per riparare a due debiti accumulati durante l’anno. Non è mai tornato a casa dove l’ aspettavano per sapere come fosse andata a scuola. Le grida disperate di sua madre scuotono anche chi qui ci è venuto per cercare i sopravvissuti allo scontro tra i due treni. Lo staff del Policlinico ha predisposto un punto di accoglienza con generi di conforto e assistenza. Ma nessuno ci fa caso. Tutti vogliono sapere della sorte dei loro congiunti.
La speranza
Avvicinano i medici che incrociano nei corridoi e chiedono: sta qui mio figlio, avete notizie di mia sorella, vi risulta un ricovero oppure è stata trasportata in qualche altro ospedale? Tutti cercano risposte, ma soprattutto sperano di incrociare i volti dei loro cari. Scrutano dietro i vetri, attendono con pazienza che qualcuno dica qualcosa, pronunci un nome, restituisca una speranza. Sul luogo della tragedia, tra gli ulivi, vagano i sopravvissuti al terribile impatto. Tra loro c’è una donna incinta all’ottavo mese. E’ ferita e sotto choc. E racconta: «E’ successo tutto all’improvviso. Mi sono sentita sbalzata in avanti, non ho avuto il tempo di aggrapparmi a niente. Sono finita a terra ed ho sentito il rumore delle lamiere che si contorcevano». La donna non sembra avere ferite rilevanti, ma i soccorritori ai quali ha detto della sua gravidanza si preoccupano non poco.
Poco lontano mentre i volontari di un’associazione di soccorso stendono lenzuola sui cadaveri, appoggiato ad un albero c’è un anziano. Viaggiava su uno dei due treni in compagnia di sua moglie. Ha la testa fasciata, protetta da una vistosa garza insanguinata. E racconta: «Non ho capito niente di cosa stesse accadendo. Mi sono trovato a terra senza capire. E’ stata mia moglie a salvarmi». E scoppia in un pianto disperato. Poco lontano la compagna di vita alla quale ora deve la sua salvezza: «Gli ho urlato scappa, scappa, scappa se puoi. E così siamo riusciti a liberarci dalle lamiere». Ora si abbracciano e piangono insieme. Ascoltano le prime storie di chi non ce l’ha fatta attraverso il ricordo di altri sopravvissuti. Storie che si intersecano con una incredibile fatalità. Il macchinista deceduto nell’impatto che tra pochi giorni avrebbe dovuto portare sua figlia all’altare, il bancario in pensione che era al telefono con sua figlia: «Papà quando arrivi a casa?»; «Sono partito da poco da Andria, ci vediamo. Stai tranquilla». Marcella non avrebbe mai immaginato che la vita di suo padre Enrico Castellano, tornato dopo tanti anni da Torino, sarebbe finita di lì a poco. Altri sopravvissuti raccontano: «Ero con le cuffiette, seduto. Ascoltavo musica come faccio ogni giorno su quel treno. Poi un boato, mi ha sbalzato lontano, fuori dal treno. E sicuramente questo mi ha salvato».
Il pianto
Piangeva il piccolo Samuele, 6 anni, incastrato tra le lamiere Per tranquillizzarlo, i vigili del fuoco gli hanno fatto vedere i cartoni animati sul telefonino mentre lo liberavano: era dietro un sedile con un pezzo di lamiera che gli schiacciava il petto e gli impediva quasi di respirare. Arrivano altri parenti dopo aver visto le immagini in televisione. Cercano nella terra, tra gli ulivi, chiedono notizie dei familiari. Potrebbero essere negli ospedali della zona, e allora si corre verso Andria, Barletta, Bisceglie, Terlizzi. Una corsa che però in qualche caso si interrompe subito.
Anche in aperta campagna, per niente coperte dal rumore degli elicotteri che si alzano in volo, si ascoltano le grida disperate di chi avrebbe voluto cercare negli ospedali il familiare che sapeva a bordo del treno. La speranza si infrange di fronte ad un corpo che giace orma senza vita sotto un ulivo. Per altri la possibilità di ritrovare in vita i familiari si spegne nell’obitorio del Policlinico barese. Nel pomeriggio ci arriva anche il nonno di Antonio Summo. Grida contro un medico. Vuole la lista dei riconoscimenti: «Fatemelo vedere Antonio, sono venuto fin qui, fatemelo almeno vedere». Non lo vedrà. Era alle poste e sarebbe toccato a lui andare a prendere Antonio di ritorno dagli esami ad Andria: «Aspettavo una sua telefonata, sarei andato in stazione a prenderlo. Aspettavo per sapere l’esito degli esami». Ma Antonio è salito su quel treno.