Libero, 12 luglio 2016
Il Csm e la legge sulla privacy per proteggere le toghe
Piercamillo Davigo non è più lui. Da presidente dell’Anm è stato investito da così tante bufere che ogni sua uscita pubblica ora suona imbarocchita da distinguo e premesse: sabato ha parlato a un convegno dei Cattolici democratici (sarà questo: era pieno di democristiani) e ogni volta premetteva che «non penso che tutti i politici rubano, rubano in molti... Non credo siano tutti mascalzoni, ma...». Ce l’hanno rovinato. Fortuna che non manca di che obiettargli. Ha parlato di «politici che non si vergognano più» e verrebbe da chiedergli quando mai si siano vergognati i magistrati colti in castagna: anche perché fare i loro nomi è proibito. Già. Dovete sapere che la sezione disciplinare del Csm ogni anno sanziona blandamente con ammonimenti, censure e perdite di anzianità una serie di magistrati che, per esempio, non hanno pagato il conto al ristorante, hanno dimenticato innocenti in carcere, hanno perso fascicoli e anni di lavoro altrui, o semplicemente non lavorano, o sono mezzi pazzi (uno l’hanno visto chiedere l’elemosina per strada, un altro ha spalmato l’ufficio di nutella, un altro ha urlato «ti spacco il culo» a un avvocato) e però i loro nomi non sono divulgabili. Il Csm ha invocato la legge sulla privacy e la protezione dei dati personali, come d’obbligo solo per i minori e le vittime di violenze sessuali: eppure parliamo di gente che giudica della vita altrui. Ecco, dottor Davigo: secondo lei è giusto?