La Stampa, 12 luglio 2016
La crisi delle banche tedesche viene anche dal mare
Se l’Italia piange, la Germania non ride. Anche il sistema bancario del Paese della Merkel ha i suoi bei guai a cui badare, e fanno tremare anche più di quelli delle banche italiane. I fronti aperti sono diversi, nonostante gli oltre 120 miliardi di euro di aiuti pubblici affluiti nel sistema tedesco subito dopo il fallimento del colosso americano Lehman Brothers. La grana più urgente sta nel Nord del Paese, a Brema, piccola città portuale, da sempre focalizzata quasi esclusivamente sulle attività marittime. La piccola banca regionale della città (Landesbank) è sull’orlo del collasso, travolta dai crediti tossici dati alle società di navigazione della regione ora in crisi. Molte attività navali hanno chiuso negli ultimi anni, altre annaspano. I crediti sono incagliati così la Bremer Landesbank qualche giorno fa ha dovuto svalutare 400 milioni di prestiti, ora aspetta di sapere quale sarà il suo destino. Una ricapitalizzazione sembra esclusa.
Non è l’unico caso dell’area. Anche la vicina Nord Landesbank (che è nel capitale della Blb) ha di recente rivisto al ribasso le proprie previsioni di business dopo aver svalutato crediti per 435 milioni. In difficoltà si trova anche la Hsh Nordbank. Tutta una serie di Landesbanken hanno seguito lo stesso modello e adesso si trovano con crediti marci dati a suo tempo alle grandi navi container. Un tempo un ramo molto florido di attività, dopo la crisi del 2008 la navigazione ha iniziato ad andare a male. I crediti sono finiti nei portafogli di molti altri istituti e anche in quelli delle banche più grandi come Commerzbank (ne contava 6 miliardi nel 2015) e di Deutsche Bank (tra i 5 e i 6 miliardi di euro).
Non è soltanto un problema di crediti. Le banche regionali tedesche, anche dopo Lehman Brothers, hanno continuato a restare legate ai vecchi modelli di business, fondati sul margine d’interesse, vale a dire sul prestito di denaro. Con i tassi a zero e i costi rimasti alti non ce la fanno più. Non sono più redditizie. Non hanno rinnovato neanche il modello di governance e quindi continuano a essere amministrate dalla politica e dalle istituzioni locali.
A Brema intanto aspettano una soluzione. «La Merkel si trova di fronte a un bivio – dice Gian Paolo Bazzani, ad di Saxo Bank -. Deve decidere se salvare o non salvare una piccola banca locale con il dilemma che entrambe le strade portano in Italia». Se decide di aiutare una banca che, tutto sommato vale un 30esimo di Mps con 1000 dipendenti in tutto, aprirà le porte agli aiuti anche in altri Paesi. «Se invece lascia fallire l’istituto di Brema dovrà comunque lanciare un segnale e far capire che, nel caso di necessità, sarà disposta a tutto per tirare fuori dai guai le sue banche più grandi» dice Bazzani.
Il riferimento è a Deutsche Bank, il colosso tedesco che spaventa per l’enormità di derivati che ha in pancia. Si è guadagnata una terribile fama come uno dei casi più inquietanti in Europa dato che a fine 2015 si ritrovava in pancia circa 42 mila miliardi di derivati lordi, circa 15 volte il Pil tedesco. Secondo la fotografia scattata dalla società di consulenza Prometeia alla vigilia dell’avvio della Vigilanza Unica, il rapporto tra gli asset illiquidi e il totale delle attività finanziarie del gruppo tedesco si attestava su un livello superiore al 70%. Questo rapporto per le principali banche dell’Italia, che pur con tutti i loro difetti sono rimaste lontane dalla finanza dei derivati, si ferma al 15%.
I media tedeschi tendono a minimizzare il pericolo Deutsche Bank. Di recente è stato il Fondo monetario a lanciare l’allarme e a vedere nell’istituto, qualora dovesse scoppiare una nuova crisi finanziaria, il maggior rischio sistemico a livello globale. Il titolo è ai minimi degli ultimi 30 anni con un crollo del 50% da inizio anno. Si sta pericolosamente avvicinando a quota 10 euro. Una soglia che, se persa, potrebbe portare ancora più in basso in Borsa.