la Repubblica, 12 luglio 2016
Sono sempre di più gli uomini in divisa che spiano le vite degli altri sul web
Gli strumenti d’indagine informatica usati come moderno buco della serratura attraverso cui spiare. Le banche dati di ministeri e forze di polizia che, nelle mani di funzionari curiosi, consentono di violare l’intimità dell’ex moglie, del collega d’ufficio, dell’attore famoso. Oppure del taciturno vicino di casa, di cui non si sa nulla e di cui per questo si vorrebbe conoscere ogni cosa, scoprendo un intero universo dietro al muro della riservatezza. Come nel film Le vite degli altri, con il capitano della Stasi Gerd Wiesler che, nello spiare il drammaturgo Georg Dreyman, trascende i confini del proprio incarico e si lascia guidare dalla curiosità. Solo che l’Italia del 2016 non è la Ddr del 1984. E il funzionario pubblico che decida di spiare il prossimo per il gusto di farlo, «oltre le ragioni d’ufficio», commette un reato.
Sono decine le inchieste aperte nei confronti di uomini in divisa spioni, che scavano nei dati sensibili altrui «mossi da curiosità», come ha messo nero su bianco in diversi avvisi di chiusura indagini il pubblico ministero Alessandro Gobbis della procura di Milano, esperto in reati informatici e titolare di numerosi fascicoli aperti per “accesso abusivo a sistema informatico”. Articolo 615-ter del codice penale, pena massima tre anni, che può essere aumentata a otto se il condannato è un pubblico ufficiale. Gli indagati sono carabinieri, uomini della guardia di finanza, ispettori di polizia, funzionari Inps e accertatori delle Entrate. Tutti custodi delle “chiavi” che consentono di aprire cassaforti digitali come lo Sdi, il sistema di indagine informatica, e l’anagrafe fiscale. Forzieri in cui sono custodite le risposte a domande come: “Quanto guadagna? È ancora sposata? Ha procedimenti penali in corso? Paga le tasse? Vive da solo?”.
Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica della Statale di Milano, spiega: «L’accesso abusivo come reato è nato nel 1993 per proteggere le banche dati dagli hacker. Ma la legge è stata modificata, l’ultima volta nel 2008. Oggi punisce anche anche chi fa un uso scorretto delle informazioni a cui potrebbe accedere legittimamente. E la Cassazione nel 2015 ha chiarito che le finalità non hanno particolare importanza». In pratica, frugare fra i dati anagrafici di una ragazza che si vuole corteggiare può essere altrettanto grave che spiare un concorrente in affari. E poco importa, per il codice, che l’accesso abusivo non comporti altro beneficio oltre al brivido di sapere ciò che una persona vuole nascondere.
Lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet vede nell’accesso alle banche dati «uno strumento nuovo e potentissimo al servizio di pulsioni antiche. Lavolontà di controllo è da sempre stimolo a compiere azioni sconsiderate e illogiche». E non sembra esserci nulla di meno logico per un carabiniere che rischiare una condanna a cinque anni di reclusione per sapere quanto guadagni l’ex compagno della donna che ama. «Le sanzioni non hanno mai dissuaso il geloso o il curioso patologico – dice Charmet –. Tanto meno ora, con il computer che dà l’illusione della distanza dalle proprie azioni. Chi si sente escluso, umiliato o mortificato, spiando chi ritiene più forte o più vincente si sente onnipotente».