Corriere della Sera, 12 luglio 2016
Buffon raccontato dalla sorella Guendy e dalla mamma. Dall’asfissia da cordone ombelicale fino alle grigliate di carne con Ilaria D’Amico
Gigio è un po’ come un figlio, per me, con lui giocavo a fare la mamma, gli davo il biberon, lo tenevo per mano al mare con la nonna, mi piaceva prendermi cura di lui. Quando è nata Veronica ero troppo piccola, con lui no. Gli spingevo il passeggino. Una volta diedi un morso cattivo a mia cugina Giulietta che aveva cercato di prendermi il posto: poveretta, ha ancora il segno!».
Guendalina Buffon, o Wendy, Guendy, Guenda, a seconda della giornata, è la sorella maggiore del portiere più bravo del mondo. «Lo so che per gli altri è un mito, ma per me resta il ragazzino che alle partite con Il Canaletto di La Spezia, quando ancora non giocava tra i pali, correva con due guancione rosse, i capelli a porcospino, le gambe magre magre e poi una pancia così, perché gli piaceva mangiare, anche adesso, vabbé, ma allora non smaltiva».
Di lui parla con venerazione, e si commuove spesso. Come quando ricorda il primo giorno, ma deve chiamare la mamma, qui sotto il tendone del Bagno La Romanina di Marina di Massa, perché lei non lo sa raccontare bene. E allora arriva la signora Maria Stella, un donnone che è meglio non contraddire, ex lanciatrice del disco, con cui scopriamo perché Gigi Buffon sia un predestinato. «Il 28 gennaio 1978 mi nasce perfetto tra le otto e le nove, pesava quattro chili, l’ho fatto in tre minuti. Un’ora dopo arriva l’infermiera. “Mio figlio è morto?”. E mi porta a vederlo: era cianotico, disteso come Cristo in croce con le flebo, faceva 130 respirazioni al minuto. “Asfissia da cordone ombelicale. Se c’è stato un danno cerebrale ora non lo possiamo sapere”. E invece lui al nono mese ha cominciato a parlare e a camminare. È stato il primo in tutto».
La matriarca finisce il resoconto e se ne va, mentre Guendalina ha ancora gli occhi lucidi. Anche lei atleta, giocava a volley. «Perugia, Agrigento, Matera. Ho pure vinto la Coppa Campioni e il premio Miglior battuta. Certo, non ero fenomenale come mio fratello, mi fregava il peso. Un anno non fui chiamata in Nazionale per otto chili di troppo e me ne andai a Cannigione con mamma, zia e Gigi, che provò a barattarmi per un cammello con un ambulante senegalese... Ho smesso di giocare a maggio del 2001, ad agosto ero già sposata. Mario Caruso, mio marito, mi aveva dato l’ultimatum via sms. Lui giocava a basket, quando lo conobbi mi sembrò un vichingo, biondo, alto, occhi chiari. “Che bello, ho pensato, porto a casa un nordico così il babbo è contento”. Invece era di Potenza...».
Hanno tre figli: Ascanio come il nonno paterno, 12 anni, Stella come la nonna materna, 8, e Anita come la moglie di Garibaldi, 6. «E poi i gemelli, oggi avrebbero avuto 10 anni, Gerardo e Mattia Adriano. Il primo è morto al settimo mese, l’altro è nato mentre Gigi sollevava la Coppa del Mondo, ha resistito una settimana».
Sui regali più grandi ricevuti dal fratello non ha dubbi. «I miei tre nipoti e poi il lavoro, qui alla Romanina sono una sua dipendente, con mio marito, che vuol dire poter lavorare solo da aprile a settembre, e poi fare la mamma e la moglie a tempo pieno: un bel privilegio». Gigi però non lo chiama mai. «Per non disturbare. Anzi, sento di più Ilaria (D’Amico, ndr ). Me l’ha voluta far conoscere prima degli altri, mi onora il suo rispetto. Mi telefonò per dire che stavano arrivando a cena. Oddio, questa è una vip, come devo apparecchiare la tavola? Lui suggerì di fare una grigliata di carne e verdure, che a lei piace. Ero agitatissima e invece è stata una bellissima sorpresa. Ilaria è una donna di buon senso, leggera, di grande intelligenza. E poi la prendo in giro e non si arrabbia, come quando viene in spiaggia con l’infradito: “Ili, dove hai messo il tacco 12?”».
Nel frattempo si materializza la signora Antonia, la madre della conduttrice di Sky Sport. «Ho appena preso un libro della Fallaci per tuo fratello. Nella dedica ho scritto: “Questo so che ti piace, tua suocera”».
Degli Europei parliamo appena. «Eh, mi sa che per mio fratello sono gli ultimi... Che rabbia perdere così. Ma puoi calciare un rigore come Pellè?».
Due ore volano e Mario adesso scalpita. «Beh?», fa lui. E lei: «Mi sa che devo lavorare. Qua nessuno può restare con le mani in mano». Come il portiere. Gigi Buffon.