Il Sole 24 Ore, 9 luglio 2016
Nelle banche del nord Europa troppe incognite nei derivati
Se si chiede ad Andrea Resti come mai la normativa e la vigilanza europea si siano sempre accanite sui crediti in sofferenza delle banche italiane più che sui derivati di quelle tedesche, la risposta che arriva è disarmante: «È oggettivamente difficile valutare certi derivati, legati a veicoli o a strumenti finanziari non quotati e non trasparenti. È difficile concepire metodologie di stress testing efficaci». Le parole di Resti, docente alla Bocconi ma soprattutto consulente al Parlamento europeo proprio sul tema della vigilanza bancaria, raccontano una grande verità: i problemi delle banche italiane sono semplici da capire, mentre quelli di alcuni istituti tedeschi, inglesi o francesi sono così complessi e contorti che è impossibile calcolare veramente a quanto ammontino i rischi. La Vigilanza e la normativa ci provano, tanti passi in avanti sono stati fatti. Ma entrare in quella nube oscura è quasi impossibile. Dunque sulla graticola ci finiscono quasi sempre solo le banche italiane.
Basta guardare il bilancio di un colosso come Deutsche Bank per capire quale differenza corra con una qualunque banca italiana. Il gruppo tedesco ha nel bilancio quasi 42mila miliardi di dollari di derivati: si tratta di una montagna che supera di 14 volte il Pil della Germania stessa. Visto così, fa venire i brividi. Ma se si cerca di capire quali rischi corra davvero Deutsche Bank, è più difficile avere una risposta certa. Innanzitutto perché una banca d’affari la maggior parte dei derivati non li fa per sé, ma per i clienti. E, dopo averli stipulati, va a ridurre i rischi che si è assunta con operazioni di segno diametralmente opposto realizzate con altre controparti. Buona parte di quella montagna di derivati, dunque, ha un rischio nullo o quasi nullo perché controbilanciata con derivati di segno opposto. Se il valore lordo dei derivati nel bilancio di Deutsche Bank è così elevato, dunque, quello netto effettivo è ben più piccolo.
Ma i rischi, in parte certo mitigati, ci sono eccome. «Mentre su un credito in sofferenza si sa quale può essere la perdita massima – osserva Giulio Naso, Principal di Bain & Company – su un derivato non si può sapere. Soprattutto in un momento di volatilità così elevata sui mercati, i rischi possono essere elevati». In effetti sul mercato si sospetta che Deutsche stia soffrendo per una “scommessa” sbagliata sui tassi, che sono oggi molto bassi in Europa. Una tale montagna di derivati espone poi una banca come Deutsche Bank al cosiddetto rischio di controparte: «Cioè che l’istituzione con cui ho coperto i miei rischi non paghi, per esempio per ragioni legali», spiega Resti. Oggi per molti derivati si utilizzano controparti centrali, per di più le transazioni hanno spesso dei collaterali a garanzia. Ma i rischi restano. Quanto grandi? Non si sa.
Si conoscono bene, invece, i rischi che si trovano nei bilanci delle banche italiane. Gli stress test della Bce sono in grado di valutarli bene, di stimarli. E di stressarli a dovere. Si sa che se le banche svalutassero al 20% i crediti deteriorati che hanno in bilancio, servirebbero aumenti di capitale nell’ordine dei 30-40 miliardi. Gli analisti ogni giorno producono studi, analisi, proiezioni sulle banche italiane. Spesso si dimenticano che se si considerano le garanzie (immobili ecc), secondo i calcoli di R&S Mediobanca, i crediti deteriorati delle banche italiane sono coperti all’87,6%. Ma ugualmente il problema degli istituti nostrani è così evidente, da non poter passare inosservato. Quello delle banche piene di derivati, invece, sì: è così impalpabile, che lo osservano in pochi. Autorità incluse.