la Repubblica, 9 luglio 2016
È giusto che i grillini siedano a sinistra?
È la grande confusione logistica, non solo a cinque stelle.
A Roma i consiglieri grillini si sono accomodati a sinistra, ma solo perché l’aula Giulio Cesare, che è organizzata senza curve sul modello Westminster anziché Montecitorio, ha un numero di poltrone che ha consentito tanto al Pd che a Fassina e all’eletto della lista Giachetti di sistemarsi su una specie di strapuntino comunque su quel lato. Con il che l’altra parte dell’emiciclo, che raccoglie sparuti Fratelli d’Italia, Marchini e berlusconiani, appare a prima vista pressoché deserto.
Ma a Parma, cioè nella prima città conquistata dal MoVimento, sin dall’inizio il gruppo di maggioranza M5S è andato a sedersi a destra lasciando a mano sinistra il Pd e Forza Italia. Lo stesso più o meno accade a Livorno, al primo piano del palazzo del Comune Vecchio, con la differenza che accanto ai democratici hanno trovato spazio diversi consiglieri ex grillini.
Ieri la faccenda dei posti si è posta più seriamente a Torino, riguardo all’assetto della storica Sala Rossa.
Durante la prima riunione dei capigruppo la neo sindaca Appendino, rispondendo al capogruppo del Pd Lo Russo sulle dislocazioni d’aula, se n’è uscita lasciando chiaramente intendere che i democratici dovranno allocarsi dove un tempo lontano c’erano la Dc e il Msi, e poi Forza Italia e An, quindi Lega e Pdl. Ma forse l’ha messa in modo un po’ sommario: «La maggioranza – ha detto – è sempre stata a sinistra del sindaco».
A questo punto Piero Fassino, che entrò in consiglio comunale nel 1975 ai tempi di Diego Novelli, ha obiettato, anche su quel «sempre». Per cui: «La maggioranza stava a sinistra – ha dovuto spiegare alla giovane sindaca – perché si collocava politicamente in quel quadrante». Questo è senz’altro vero, così come d’altra parte è vero che almeno a Torino negli ultimi anni è andata come dice Appendino. Per cui, come accade in questi casi, si è deciso di rinviare la scelta.
E tuttavia se il Tempo, nel senso della storia politica, non si accorda più con lo Spazio, e quindi con l’ordine e la disposizione delle assemblee rappresentative, beh, un problema certamente esiste; e l’evidente caos, schermaglie comprese, rivela un passaggio che investe il sistema politico, o post-politico che sia, comunque inceppatosi intorno a uno scomodo e imprevisto tripolarismo.
Sul piano tecnico, la movimentazione e la guerriglia delle poltrone non sono un inedito assoluto. Senza rifarsi a Mussolini o a D’Annunzio, piuttosto mobili sui loro scranni parlamentari di gioventù, il primo rilevante dissidio si rilevò alla metà degli anni 70 con i primi quattro deputati radicali che rivendicarono i posti in alto a sinistra, ma i comunisti si opposero fieramente – e Pajetta accusò Pannella e compagni di «fare politica con il sedere».
Ci fu poi, primi anni 90, l’enigma della Lega, che per la verità non si capiva bene dove volesse piazzarsi, e ancora meno perché; fatto sta che volenti o nolenti, i parlamentari di Bossi finirono al centro. Più o meno là dove nel 2013 hanno trovato alloggio i grillini, dei quali a fatica si può dire se sono di destra, o di sinistra, o qualche altra cosa che prescinde dalla vecchia e cara geografia.
Di sicuro l’incertezza classificatoria si è compressa e insieme dilatata di pari passo con la crisi della Prima e poi della Seconda Repubblica. Erosione ed esaurimento delle culture politiche, trasformismi e trasversalismi, larghe intese, velleità maggioritarie e pretesi partiti della nazione. Tutto, compresi i cerchi magici, ha contribuito a far saltare gli schemi e i punti di riferimento su cui nel corso di un settantennio si sono prima formate e poi dimenticate le identità e le differenze.
Le strategie della comunicazione e il regime degli spettacoli hanno fatto il resto. Nel mischione è anche difficile trovarsi da sedere.