la Repubblica, 9 luglio 2016
L’ultima pazzia del Loco Bielsa: scarica la Lazio
Rimandando a memoria gli studi classici, Claudio Lotito dev’essersi accorto che Loco è un ablativo, forse di quelli assoluti, che stanno per conto proprio e non legano con nessuno. Ma la vera anomalia, in fondo, era questa relazione pericolosa fra il presidente della Lazio, uomo di numeri e rigore, amante della disciplina quanto della parsimonia, attento più al bilancio che ai capricci dei tecnici, e l’allenatore più pazzo del mondo, che non per niente chiamano El Loco. Il pazzo.
Se vi chiedete come l’ex ct dell’Argentina abbia potuto dare buca con un contratto già firmato e depositato, non conoscete Marcelo Bielsa. Quando aveva 17 anni, dopo un litigio col padre, se ne andò di casa e si trasferì alla pensione dei Newell’s Old Boys, riservata ai figli delle famiglie più umili. Lui non aveva problemi di soldi: il nonno Rafael era un giurista di fama, il padre Rafael Pedro un avvocato, la madre Lidia un’insegnante. I dissidi erano legati al calcio: Marcelo giocatore dei Newell’s, suo padre tifoso del Rosario Central. Accolto nella modesta palazzina del club, ottenne di dormire con la sua moto, una Zanella 50, parcheggiata di fianco alla brandina.
Ribelle ed eccentrico, invece di seguire la carriera familiare come suo fratello, avvocato, politico ed ex ministro degli esteri in Argentina, Bielsa ha scelto il pallone e ha faticato a farsi accettare, lui vestito così elegante in uno sport per poveri. Raccontano che una volta fu fermato e portato al commissariato perché giocava per strada: non se ne andò finché non gli ridiedero il pallone per riprendere la partita interrotta.
Una vita esagerata, imprevedibile. Lasciò il calcio a 25 anni e cominciò a gestire un chiosco di giornali, solo per poterli leggere tutti. Non ha poi avuto lo stesso feeling con i giornalisti: da secoli non concede più un’intervista, limitandosi agli obblighi delle conferenze stampa, nessuno ha il suo numero privato.
El Loco è quello che girò l’Argentina a bordo di una Fiat 147, 24mila chilometri in tre mesi, per visionare duemila giocatori. Fu così che scoprì un Batistuta giovane e cicciottello, lo mise a dieta ferrea negandogli la cioccolata, e ne fece un campione. E anche quello che guardava gli allenamenti delle giovanili arrampicandosi a un albero e prendendo appunti da lassù, se non c’erano le tribune. E che più tardi, a Marsiglia, avrebbe preferito sedersi su una borsa frigo, nessuno poteva dire che la sua panchina scottasse (poi, l’OM ha lanciato una fortunata campagna di marketing, vendendo magliette nelle ghiacciaie). E poi gli schemi provati alle due di notte in giardino, le sveglie alle quattro, l’amichevole che avrebbe voluto, in ritiro con la Lazio, alle dieci del mattino.
Uomo di scelte impulsive, di difficile comprensione. Come quando, giovanissimo, andò in Messico. O come nel ’98, quando sbarcò in Europa a luglio per guidare l’Espanyol, e a settembre se ne andò per allenare l’Argentina. In quei due mesi trovò modo di litigare con Lippi in un’amichevole con la Juve a San Benedetto del Tronto e lasciò alla porta in attesa il tecnico dell’Atletico Madrid che voleva solo fargli i complimenti, Arrigo Sacchi. Nel 2004, vinto l’oro olimpico ad Atene con la Selecciòn, mentre la stampa lo osannava lui scelse di sbattere la porta, senza dare spiegazioni. Lasciò in lacrime la panchina del Cile. Scrisse una lettera a Moratti per comunicargli il rifiuto dell’Inter nel 2011 (era già in parola con l’Athletic Bilbao) e una al presidente dell’Olympique, Labrune, per spiegare il suo addio dopo una sola giornata di campionato. Sempre per posta prioritaria ha detto addio a Lotito, che gli farà causa. A casa Bielsa, gli avvocati non mancano.