Il Messaggero, 9 luglio 2016
Hitler voleva rapire Pio XII, ecco il piano
Proprio come tante tessere che fuoriescono, una dopo l’altra, da un cono d’ombra per comporre un disegno sempre meno sfocato. Allo stesso modo nuove rivelazioni storiche sulla figura di Pio XII mostrano quanto questo pontefice fosse temuto da Adolf Hitler, fino al punto da indurre il Führer a progettare nei minimi dettagli un piano per rapirlo e portarlo in Germania. Il Reich voleva neutralizzarlo e impedire a questa figura di agire, protetta come era dalle mura del piccolo Stato. Di fatto Pio XII in seguito all’8 settembre 1943 restava l’unico sovrano a Roma, una risorsa collettiva, un simbolo che avrebbe tutelato tutti, cattolici ed ebrei. Le mura vaticane, in quel periodo, vennero poste sotto il controllo dei tedeschi, e ogni movimento era monitorato. Il Vaticano era dietro le sbarre. Una cappa tragica avvolgeva la capitale. In questo contesto, nel 1944, maturò il progetto. Fino a questo momento non si è mai saputo nulla di preciso. Un inedito storico di straordinaria importanza (pubblicato dall’Osservatore Romano) è il testamento di Antonio Nogara (1918-2014), figlio di Bartolomeo Nogara (1868-1954), direttore dei musei vaticani. Nogara racconta di quando monsignor Montini, all’epoca sostituto alla Segreteria di Stato tra fine gennaio e inizio febbraio 1944, si precipita a casa cercando disperatamente il padre, il direttore dei Musei, per avvertirlo delle rivelazioni dell’intelligence britannica. «Dopo un breve conciliabolo riservato» i due uscirono frettolosamente. Il giorno dopo Bartolomeo Nogara confidò preoccupato al figlio Antonio che l’ambasciatore del Regno Unito, Osborne, e l’incaricato degli Stati Uniti, Tittmann «avevano avvertito monsignor Montini» di aver avuto notizia dai rispettivi servizi di un «avanzato piano superiore» dei nazisti per «la cattura e la deportazione del Santo Padre», «col pretesto di porlo in sicurezza sotto l’alta protezione del Führer».
IL PROGETTO
Nogara scrive: «Nel qual caso, ritenuto imminente, le forze alleate sarebbero immediatamente intervenute per bloccare l’operazione, anche con sbarchi a Nord di Roma e lancio di paracadutisti. Occorreva pertanto apprestare subito un rifugio segreto ove rendere irreperibile il Santo Padre per il tempo strettamente necessario, due o tre giorni, all’intervento militare». Secondo il resoconto, i due uomini a quel punto optarono per nascondere il Papa nella Torre dei Venti, sopra un’ala della Biblioteca Vaticana e dell’Archivio Segreto. Qui «sarebbe dovuto rimanere nascosto per due o tre giorni fino all’arrivo di una squadra speciale delle forze Alleate» che si sarebbero paracadutate per salvarlo. Fortunatamente «il folle piano non fu mai attuato». Fu scongiurato anche «grazie alle prese di posizione interne delle autorità diplomatiche tedesche a Roma» che avevano compreso gli effetti negativi che avrebbe avuto sulle popolazioni cattoliche un gesto di rottura del genere. Il testo scritto da Antonio Nogara è stato scoperto dai familiari solo dopo la sua morte, avvenuta nel 2014, e successivamente consegnato alla Santa Sede.
Nogara senior, direttore dei musei ma all’epoca anche direttore della banca vaticana, secondo recenti documenti del servizio segreto britannico, risalenti al periodo 1941-1943, conservati nei National Archives britannici, fu anche l’artefice della strategia finanziaria di Pacelli per aiutare le Chiese perseguitate. Per conto del Papa investì in quel periodo, milioni di dollari nelle maggiori banche americane e britanniche. A scoprirlo è stata recentemente la storica Patricia McGoldrick della Middlesex University di Londra che ha pubblicato le sue scoperte su The Historical Journal, dell’università di Cambridge.
Che Pacelli fosse un Papa assai poco gradito a Hitler era risaputo. Tre anni fa uno storico canadese, Robert Ventresca, docente al King’s college, ha pubblicato per la Harvard University Press uno studio in cui analizza la posizione assunta da Pacelli durante il nazismo, partendo da quando era segretario di Stato. Egli criticava il governo tedesco, attraverso i canali diplomatici, ribadendo le ripetute violazioni del concordato del 1933, in modo chiaro, risoluto. «Pacelli aveva capito sin troppo bene quant’era difficile trattare con Hitler e quanto dovesse lottare per tutelare interessi spirituali e materiali della Chiesa. Non voleva uno scontro frontale che poteva portare alla rottura dei rapporti diplomatici. Dalle fonti si evince che la sua tenacia era rafforzata dalla convinzione che trattare con il regime rappresentava il male minore». Temeva rappresaglie, proprio come accadde nel 1943 in Olanda. Preferiva agire in silenzio, ordinando nel contempo ai conventi di interrompere la clausura per ospitare gli ebrei.