la Repubblica, 10 luglio 2016
Di Maio, il viaggio in Israele e i Cinquestelle che credono che saranno “i cittadini” a salvare la politica. Sarà invece la politica a salvare i cittadini
I resoconti della visita in Israele del leader dei Cinquestelle Di Maio sono di esemplare normalità. Ha detto che Israele deve smetterla con la politica dei muri e che Hamas deve smetterla con il terrorismo. Ha cercato di ascoltare l’una e l’altra parte di quella sanguinosa, eterna contesa, forse con una punta di attenzione in più (giustamente) nei confronti dei soccombenti, che sono i palestinesi. Né più né meno di quanto avrebbe fatto qualunque altro leader democratico europeo di buon senso.
Specie su una materia così sensibile le urla della rete in genere fanno a sportellate, e se si vuole leggere qualche emerita minchiata, a proposito di israeliani e palestinesi, basta cliccare: anche nei territori battuti dai grillini, alcuni dei quali furono accusati, tempo addietro, di non avere ben chiaro il discrimine tra antisionismo e antisemitismo. Per fortuna, poi, c’è la politica. Che costringe a uscire dal bullismo digitale e mostrarsi in campo aperto, confrontarsi con il mondo per quello che è, dolente e complicato. Di fronte a dolore e complicazione o sei un idiota, e perseveri nel pregiudizio e nella presunzione, oppure ti adegui, lavori, chiedi, parli, ti informi, in una sola parola: impari. Almeno in questo senso la politica è una benedizione, e in alcuni casi può essere una vera e propria redenzione. I Cinquestelle credono che saranno “i cittadini” a salvare la politica. Sarà invece la politica a salvare i cittadini.