Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 10 Domenica calendario

Più che dal sindaco, il somarello di Cerignola andrebbe protetto dall’amore del papà

A 11 anni Michele, il bimbo bocciato di Cerignola, va protetto non dal suo pittoresco sindaco che lo ha strigliato ma dal suo amorevolissimo papà che, annunciando con toni dolenti e gravi la denunzia penale, vorrebbe trasformare il “somarello” in una vertenza in sindacalese: risarcimenti, perizie sul «profondo turbamento provocato dal rimprovero pubblico», scartoffie, avvocati, vittimismo, eroismo al contrario, la fierezza per le bocciature della vita garantita da un certificato di dignità e magari pure da una sentenza.SEGUE A PAGINA 22SOMARELLO a vita per volontà del popolo italiano. Il politicamente corretto, direbbero sia il vero sindacalista Giuseppe Di Vittorio sia il grande italianista Nicola Zingarelli (entrambi di Cerignola) cerca così di rubare il trono alla Madonna di Ripalta che è invece la Madonna del buon senso e del dialetto come lingua madre.E cominciamo da questo dialetto:” trimone” (che sta per somarello e mezza sega) e “ strunz” sono le parole incriminate che il sindaco Franco Metta ha rivolto al piccolo Michele. Gli dice pure “ i corna che tien” e finisce con la raccomandazione di non farsi ancora bocciare «se no – impasta in un slang affettuoso e al tempo stesso aggressivo – vengo e t’ spezz’ i gambi ». Due video, comprensbilmente molto cliccati, ne danno testimonianza.Purtroppo, però, traducendo la strigliata dal dialetto, l’eccesso peggiorativo è assicurato, e la deformazione è profonda. Il codice del sindaco infatti non è sicuramente criminale. È un’enfatica paternale che recitata in pugliese suona pittoresca e persino selvaggia, quasi non fosse il dialetto la lingua che circola nelle vene del Paese, la resistenza all’omologazione da parte della provincia, che è la cuccia del sentimento italiano, la particella di Dio non solo della politica (da Einaudi sino a Renzi) ma anche della cultura (da Croce a Pasolini, a Calvino, a Fellini.). Il dialetto è la lingua dell’intimità associativa e fisiologica della gran parte degli italiani, come spiegano Camilleri e De Mauro nel densissimo La lingua batte dove il dente duole, libro edito dal pugliese Laterza. Ebbene Camilleri dice che il dialetto è la lingua degli affetti, è confidenziale e intimo appunto, è familiare «perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto». In nessuno dei due video c’è traccia del lungo abbraccio poi rivendicato dal sindaco sotto accusa né delle lacrime di cui qualche cronista ha scritto. Anche abbracci e lacrime sono dialetto che sempre disarma e stempera proprio mentre eccede e colora. Dunque in dialetto uno schiaffo arriva come un buffetto, una manata come una carezza d’amore, un insulto come un elogio. Solo il giornalismo ideologico purtroppo in Italia non è più facilmente decodificabile. Va invece detto con forza e chiarezza che, in quel che è avvenuto a Cerignola, sicuramente non c’è violenza.Ma perché il sindaco era stato così aggressivo? Com’è noto il bimbo, durante una cerimonia, arrivato il suo turno, aveva dichiarato a Metta che lo ascoltava con tanto di fascia tricolore, di essere stato bocciato, ma esibendo quell’aria tutta contenta che in genere ha chi è stato promosso. E dico in genere pensando non tanto al piccolo Michele quanto al padre che evidentemente non riconosce il diritto-dovere alla punizione del proprio figlio bocciato. E qui sullo sfondo c’è un altro paesaggio degradato dagli eccessi del politicamente corretto: non solo a Cerignola, ma in tutto il Paese le istanze familistiche – la difesa del figlio nostro, figghij meij in ceriognolano, el me fieu in milanese, el mi bimbo in livornese e poi u figghiu miu, a creatura, il piccinin, er pischello, il toso, il mio sbarbato... — hanno ormai il sopravvento sulle prerogative istituzionali, sulla formazione del cittadino. Sono davvero troppi i genitori che, dinanzi alla punizione del figlio, reagiscono da bulli offesi, invece di arretrare, cedere il passo, consegnare il figlio all’insegnante e allo Stato.In più qui c’è un altro sospetto ideologico, un’altra minaccia del politicamente corretto: il padre del bimbo è infatti un bracciante purtroppo disoccupato mentre il sindaco è un affermato avvocato ex missino, ex rautiano per giunta, un Tatarella (altro cerignolano) ma di minoranza. Questo Metta è una di quelle figure meridionali che sono a metà tra lo sceriffo e il notabile, spaccone come De Luca e come De Magistris che però si dicono di sinistra, un tipico prodotto del plebeismo carismatico meridionale che è il meglio e il peggio del sud mischiati in una ganga compattissima. Sono infatti riformatori che restituiscono dignità a un territorio desertificato ma anche sceriffi guappi che sottomettono le città alla loro legge, padroni e al tempo stesso amministratori capaci e coraggiosi. E si capisce con estrema chiarezza che Metta, con quel dialetto esibito e quella strigliata troppo prolungata, pensi dinanzi a quel bimbo del popolo di incarnare appunto la piccola Italia di buon senso. Guardatelo, è il sindaco che si mette addosso gli abiti del professore, del padre, del bidello, dello zio burbero, della fata di Pinocchio, del carabiniere in alta uniforme di Lucignolo... Insomma si fa carico di tutte le parti in quel Presepe che è il paese d’Italia, che è l’Italia di paese, il nostro polmone, la sola verità che ci rimane e che ha resistito alla Lega e ai forconi, al fascismo e alla Dc, al comunismo e a Grillo ma rischia di morire sotto il peso del politicamente corretto. Nessun italiano ci crede sino in fondo, ma tutti abbiamo un figghiu miu.