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 2016  luglio 10 Domenica calendario

Cinque milioni di italiani sono incontinenti

Tacciono il loro disagio, si vergognano, si limitano nelle attività quotidiane, con conseguenze pesanti sia per la loro qualità di vita sia sul benessere psicofisico. Eppure non sono soli, perché ben cinque milioni di italiani soffrono di incontinenza, un problema socio-sanitario in crescita ma ancora in gran parte sommerso. Il problema, stando alle stime più recenti, riguarda ben 33 milioni di americani, 22 milioni di europei, circa l’11 per cento dei maschi nostrani e il 13 per cento delle italiane. Stando agli esperti, però, i numeri sono in gran parte sottostimati perché più o meno la metà delle persone interessate tende a non riferire i propri problemi ai medici.
«L’incontinenza urinaria da vescica iperattiva è ancora troppo spesso un tabù» dice Michele Gallucci, presidente dell’Associazione Urologi Italiani (Auro.it). «È vissuta con imbarazzo, stravolge la vita sociale e affettiva, ma chi ne è affetto si rassegna, la considera erroneamente in molti casi una conseguenza fisiologica dell’invecchiamento e non ne parla. Mentre molto si può fare per arginare il problema con farmaci specifici, esercizi riabilitativi o persino interventi chirurgici».
Come se non bastasse, questo disturbo ha un forte impatto economico: per l’acquisto degli assorbenti o pannoloni, infatti, in Italia si spendono oltre 190 milioni di euro all’anno e i farmaci contro l’incontinenza, che non vengono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), sono completamente a carico dei malati.
«Siamo uno dei pochi Paesi europei che presenta questa situazione – spiega Massimo Perachino, direttore dell’Urologia dell’Ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato e membro del direttivo di Auro.it —. Il “costo” della vescica iperattiva in Italia oggi ricade prevalentemente sul paziente e l’ipotesi che il Ssn si faccia carico di questa problematica appare non eccessivamente onerosa tenuto conto soprattutto dell’impatto sulla qualità di vita e sulla riduzione di una serie di costi indiretti».
Una combinazione tra cambiamento dello stile di vita e trattamento farmacologico è l’approccio più comunemente raccomandato per la gestione del problema. Una volta ottenuta la diagnosi, un primo approccio all’incontinenza urinaria è di tipo comportamentale. Si cerca, cioè, di ridurre tutti i fattori che possono interferire con la continenza: ad esempio, dieta per chi è in sovrappeso, riduzione di cibi piccanti o limitare l’assunzione di bevande frizzanti o particolarmente diuretiche, come quelle contenenti caffeina, che è uno stimolante delle contrazioni involontarie. Successivamente, o in parallelo, è consigliabile un trattamento riabilitativo del pavimento pelvico e la rieducazione vescicale (anche tramite esercizi di fisioterapia), il cui obiettivo è migliorare l’efficacia delle componenti muscolari sfinteriche e il controllo della minzione.
«Attualmente le opzioni di trattamento comprendono alcuni accorgimenti quotidiani – prosegue Perachino – come controllare l’assunzione di liquidi, attraverso l’uso di un diario, riducendone l’assunzione se necessario. Se questi interventi non sono efficaci si passa ai medicinali: gli antimuscarinici o anticolinergici (che includono solifenacina, ossibutinina, tolterodina, fesoterodina, propiverina e trospio) inibiscono le contrazioni involontarie della vescica oppure gli agonisti beta-3 adrenergici (mirabegron), che rilassano la muscolatura e migliorano la capacità di riempimento della vescica».
Gli antimuscarinici di “vecchia generazione” possono però causare effetti collaterali come secchezza delle fauci, stipsi, peggioramento della sfera cognitiva, con ripercussioni importanti soprattutto nelle persone anziane, mentre i nuovi medicinali agonisti beta-3adrenergici sono meglio tollerati. In ogni caso, i pazienti italiani devono acquistare i farmaci di tasca propria, con un esborso non indifferente che va, per un mese di trattamento, dai 6 euro per un generico fino ai 60 euro per un antimuscarinico di ultima generazione, ai 70 dei mirabegron.
«Solo per i pazienti con patologie neurologiche (quali Parkinson e sclerosi multipla) esiste una Nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco, la numero 87, che prevede il rimborso per la terapia con ossibutinina – precisa Andrea Tubaro, responsabile dell’Urologia al Sant’Andrea di Roma —. C’è inoltre un’oggettiva difficoltà a reperire centri specializzati in grado di riconoscere la patologia, diagnosticarla e trattarla in maniera corretta. Non a caso, secondo statistiche recenti, meno della metà dei malati segue con costanza e regolarità la cura un prescritta dallo specialista, sia per i costi che deve sostenere, sia per i fastidi legati agli effetti collaterali dei farmaci meno innovativi ma più economici».
Altre soluzioni prevedono iniezioni di tossina botulinica o la neuromodulazione: le prime consistono in iniezioni di farmaco direttamente all’interno della parete vescicale eseguite in day hospital in leggera anestesia con lo scopo di rilasciare direttamente la muscolatura vescicale e ridurre gli episodi di incontinenza; l’effetto può durare molti mesi ed è ripetibile. La neuromodulazione (eseguita in day-hospital e anestesia locale) prevede invece l’impianto sottocute di una sorta di pace-maker per stimolare l’innervazione della vescica e del pavimento pelvico.
Infine c’è la chirurgia ricostruttiva, opzione utile solo nei casi in cui gli altri approcci non sono riusciti ad alleviare i sintomi di iperattività vescicale.