Ha vinto Serena che, a 34 anni compiuti, tra le mani di un coach alla moda quanto il francogreco Mouratoglou, gioca ancora come le aveva insegnato Papà Richard, un uomo geniale nella sua rozzezza, e tanto fortunato da imbattersi in una fattrice di grandissima qualità, come quelle menzionate da Tesio. Ha vinto Serena, e, nello augurarmi l’altro giorno una finale con o contro Venus, non mi ero sbagliato, perché le implicazioni famigliari e freudiane avrebbero certo prodotto uno spettacolo di maggior interesse di quello d’oggi, tenuto in piedi soltanto perché si sperava che, come già in finale dell’ultimo Australian Open - per non accennare allo U.S. - Serena divenisse vittima di un nuovo stato d’animo chiamato Grand Slam Komplex.
Il match di ieri è stato in qualche modo reso storico dai record sopracitati, ma aveva forse ragione un collega britannico che, ad un certo punto, dopo un errore grossolano della tedesca, ha mormorato: «Aveva ragione Ray Moore». Per i non aficionados ricordo che Ray Moore, ex campione sudafricano, è stato costretto a dare le dimissioni da direttore del torneo di Indian Wells per aver affermato che non è giusto, dato lo spettacolo offerto dal tennis femminile contemporaneo, che le tenniste, per giocare al meglio di tre set, percepiscano premi eguali a quelli degli uomini.
Mi rendo conto che simile affermazione possa essere scambiata per maschilista, ma credo di esser stato, e gli archivi e forse Natalia Aspesi e Concita De Gregorio lo ricordano, uno dei primi semisconosciuti femministi del paese. Tantoché il mio futuro romanzetto, se un editore me lo pubblica, si chiamerà le Donne al Potere.
Mi scuso di simile lunga, forse inutile superpremessa, per dire che sono riuscito ad annoiarmi, di fronte ad una Serena invecchiata, e ad una Angelique Kerber che ha la sua maggior qualità nell’essere mancina, antico vantaggio che costringe i destri a ribaltare i propri schemi abituali.
Soprattutto sul mancinismo e sul diritto di Angelique è vissuta la partita, che si sarebbe potuta ribaltare soltanto per le ragioni alle quali ho accennato, e che è viceversa continuata a essere incerta, dopo il secondo game del primo set, che già pareva impervio per la tedeschina costretta a salvare tre palle break.
Il previsto break giungeva comunque nell’ultimo game del set, e l’unica occasione della Kerber di brekkare era vanificata con due aces da Serena.
Seguiva il previsto break decisivo nell’ottavo game del secondo con quattro consecutive pallacce della Williams. Scrivere ora, come fa un mio vicino americano, noto per la schiettezza superiore al patriottismo, che il sottanino sollevato dal vento ha disturbato Serena più della Kerber è eccessivo.
Rimane comunque certo che Angelique non sia riuscita a mostrare la cabarbietà di Angela. Fräulein Merkel, dico.