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 2016  luglio 11 Lunedì calendario

Gianni Clerici spiega alla nipotina perché Andy Murray ha vinto Wimbledon

Terminata la finale,vinta dallo scozzese Andy Murray sul canadese Milos Raonic, per 6-4, 7-6 (3) 7-6 (2) in due ore e 48 minuti, mi ha telefonato la mia nipotina. “Perchè ha vinto Murray, nonno” mi ha domandato Lea, che domenica scorsa era venuta a Wimbledon per la prima volta. “Perchè era più abituato all’erba del campo, e non solo” ho risposto. “Si trovava come a casa, in tribuna c’era sua mamma Judy e sua moglie Kim, e insieme a loro una specie di zio, che si chiama Lendl, uno che aveva perso tante volte prima di imparare a vincere, e gliel’ha raccontato, come io ti ho raccontanto tante storie per restare tranquillo, e insieme per fare dei bei sogni. Murray insomma si è sentito come a casa, mentre l’altro giocatore, Raonic, non era tanto abituato ai prati, perchè campi come questi non esistono nel suo paese, il Canadà”.
Qui è caduta la linea, e ho pensato che qualche lettore aficionado, più avanti con gli anni, non fosse soddisfatto della spiegazione, e chiedesse un approfondimento. Dirò allora che, nei limiti di un best of five finito nel modo più breve, non c’è stato enorme scarto tra i due. Su tre set i giocatori sono arrivati due volte insieme alla lente d’ingrandimento del match, come il mio amico Denis Lalanne, forse il miglior giornalista dell’Era Open, aveva denominato il tiebreak. Quanto a me, pensavo che Raonic con la violenza delle sue battute, avrebbe sommerso Murray, nel caso in cui al tiebreak si fosse arrivati, mi sbagliavo in pieno. Non avevo calcolato la solidità alla quale lo scozzzese è giunto in tutti i suoi colpi, una solidità di terricolo, scuola spagnola, trasportata sui prati di casa. Non avevo calcolato la regolarità alla quale Murray è giunto in tutti i suoi colpi, ripeto tutti, da quel rovescio bimane che riesce a tenere bassissimo senza sfiorare la rete, allo stesso rovescio monomano tagliatissimo, al diritto liftato non meno regolare, insomma al gioco difensivo ormai perfetto tatticamente. Raonic non è ancora pervenuto a un simile controllo del proprio corpo, della sensibilità della mano. È riuscito a issarsi ai due tiebreak nonostante abbia corso più rischi,(4 palle break contrarie nel secondo set contro nessuna a favore) ma, proprio quando ritenevo che la sua battuta squassante avrebbe fatto la differenza, ha subito la grande intensità di Murray, capace in chiudere i tiebreak con vantaggi iniziali quasi definitivi, di 5 a 1 nel secondo, e 5–0 nel terzo.
Per scendere a maggiori dettagli, magari per comunicarli a chi mi legge in italiano come il mio ex allievo Riccardo Piatti, ricorderò che Raonic è caduto in un errore ripetuto per un movimento migliorabile sulle volè basse di diritto, nelle quali colpisce con una sorta di colpo abbreviato, ben inteso privo dell’anello di preparazione; colpisce piatto, alzando la traiettoria, sbagliando quindi o consentendo all’avversario un nuovo passante. Questo, per un tipo spinto da un corpaccione di due metri a cercare la rete, è forse il punto più debole.
Simile finale, che aveva rischiato, nelle previsioni di molti, di essere una sorta di deludente esibizione, è stata per due terzi uno spettacolo interessante, imprevedibile, combattuto. Credo che rivedremo spesso Raonic, mi aguro insieme ad un’altro futuro campione, ora che pare finito il decennio di Fab Four.