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 2016  luglio 11 Lunedì calendario

Cosa ricorderemo di questi Europei

Poi l’immagine si ferma, si blocca in un punto della memoria che sceglie lei, è sempre così che succede. E la storia si scinde in mille pezzi, come un bicchiere di cristallo quando cade a terra: ma ogni pezzo di quel cristallo diventa a sua volta un’immagine nuova, un racconto tutto intero. Il viso scuro di Ibra che guarda in basso. La bimba di Bale in braccio al papà, lei che gli tira le orecchie per giocare. Gli sguardi degli spagnoli mentre capiscono che non è finito l’Europeo, non solo, ma una grande avventura di bellezza e possesso. Gli azzurri che si avvinghiano a Conte perché sanno che è da lì che arriva l’energia. Il muro islandese che agita l’aria con il gesto che ormai fanno tutti, anche questo è il bello dello sport, quando qualcosa piace diventa degli altri, non ha più geografia.
È stato un mese lunghissimo, pieno zeppo di gesti. Le foto ci sono cadute addosso prima ancora che si cominciasse, erano i ragazzi vestiti di rosso, i volontari, ad accogliere l’Europa che arrivava. Molti più sorrisi del solito perché c’era la paura da sconfiggere, la paura che il male potesse tornare ancora. I poliziotti ai controlli, gli agenti della sicurezza quasi tutti gentilissimi. E poi il fiume di gente verso Saint Denis per la prima partita, i cani poliziotto che fanno irruzione in sala stampa, l’allarme bomba, la metropolitana chiusa, spostarsi subito, poi tutto sarà perfetto e la Francia si prenderà la sua prima notte difficile, contro la Romania.
Le istantanee dei campioni e dei non campioni. Payet che corre con la cresta e poi piange, sono belli gli eroi fragili. I polacchi con la mano sul cuore durante l’inno. Il capitano della Croazia che in quello stesso momento si abbandona alle lacrime, chissà cosa gli passa dentro, chissà a chi starà pensando, forse a qualcuno che non c’è più. E poi la bellezza plastica del gioco, la posa di Cristiano Ronaldo dopo un gol, anzi dopo quel gol meraviglioso col tacco. Può non piacere, ma nessuno è come lui.
La sforbiciata di Shaqiri contro i polacchi dopo una partita modestissima. Le sue gambe corte che frullano l’aria e poi dimostrano come si disegna la perfezione: non gli basterà, la Svizzera sarà infatti eliminata, esiste anche una bellezza crudele. Lo sbigottimento degli inglesi e dei russi, increduli. Il fermo immagine di Loew che ha capito quanto un gol sbagliato di pochissimo sia spesso il preludio alla fine. Si mette le mani nei capelli, poi sulle guance. Il suo trionfo evapora sotto un tetto di stadio che sembra un’ala di gabbiano.
L’album è naturalmente pieno di azzurro, in ordine sparso, come sempre accade con la memoria. Chiellini che batte i pugni sul petto e mima il gesto del gorilla, è così che lo chiamano, ha appena segnato alla Spagna e tutto sembra ancora possibile. Buffon che alza con l’unghia il pallone tedesco che potrebbe chiudere tutto, così sarà ma non è ancora tempo. I saltelli di Zaza, naturalmente: ora che sono passati i giorni si può dire che fossero il suo stile, e lo stile non si cambia davanti al portiere più forte del mondo, lo stile e forse il bisogno di darsi coraggio. Lo abbiamo messo in croce per questo, troppo. Ognuno fa quello che è, secondo come si sente. E chi non sceglie (anche di sbagliare) è un coniglio.
I visi dei giocatori albanesi che ancora sperano di qualificarsi, fare più di così non potevano, assurdo avere dovuto aspettare tre giorni il verdetto. Che spettacolo, però, i loro tifosi a spasso per Marsiglia, in coda per un giro sulla ruota come bambini giganti. E le fotografie che i tifosi avversari si scattano insieme, a volte scambiandosi i cori, come italiani e irlandesi a Lille: ce n’era proprio bisogno dopo il folle album dei primi giorni, e il sangue, e quel tifoso a terra come morto che ancora lotta in ospedale.
Le foto scorrono dentro gli occhi come il tempo quando scappa, e le più belle sono ai margini della grande storia, non dicono i gol, le parate, gli errori. Dicono altro. E allora, ecco i poliziotti tutti imbottiti e vestiti di nero, bardati come guerrieri medievali, e gli irlandesi che vorrebbero dargli il cinque, non si può ma intanto i guerrieri sorridono sotto gli elmi: a Lille, ancora, e che freddo faceva. O quei due ragazzi con le guance a strisce che non smettevano di baciarsi e bloccavano la coda della metro alla stazione di Blanche, Parigi. Ma soprattutto quel bambino piccolo in braccio alla mamma uscendo dallo stadio di Marsiglia, non c’era un millimetro libero per nulla, solo corpi contro corpi ma la mamma lo accarezzava piano sulla nuca, i capelli cortissimi come un peluche. La gente cantava la Marsigliese, quasi una ninna nanna, e il bimbo si addormentò.