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 2016  luglio 11 Lunedì calendario

Alle radici della crisi dell’Italbasket

Le lacrime dei cestisti azzurri e la tristezza dipinta sui volti del presidente federale Petrucci e del ct Messina dopo il ko con la Croazia nel Preolimpico di Torino sono state emblematiche di una disfatta cocente e di un progetto andato in fumo prima ancora di cominciare. Inutile trovare scuse: i meriti che gli stessi Petrucci e Messina, al pari dei giocatori azzurri, hanno riconosciuto alla Nazionale di Petrovic non fanno che sottolineare con la matita rossa le tante (troppe) pecche del nostro movimento. Non andiamo ai Giochi da Atene 2004 (e non ci andremo, ben che vada, fino a Tokyo 2020), così come non giochiamo un Mondiale dal Giappone 2006 (e la prossima occasione sarà Cina 2019, ma dovremo qualificarci), un doppio tunnel lunghissimo e buio dal quale non siamo riusciti ad uscire nemmeno organizzando il Preolimpico in casa, giocando di fronte a 13 mila tifosi a favore, contro squadre ampiamente alla nostra portata. Tanti elementi negativi non possono più essere casuali, ma tradiscono una crisi profondissima della nostra pallacanestro che pure all’inizio degli Anni 2000 trovava ancora una sua legittima collocazione nell’élite mondiale. Certo, la polverizzazione di Stati come l’Urss o la Jugoslavia, entrambe terre di grande basket, ha aumentato a dismisura le squadre rivali e di fatto ridotto i posti disponibili per i grandi tornei internazionali. Tuttavia fermarsi a questa considerazione «geografica», senza approfondire l’analisi, rischia di non evidenziare i mali, profondi, che da anni minano dall’interno tutto il movimento cestistico italiano. Ricordiamo con amarezza quanto ci disse nel 2003 l’allora ct azzurro Charly Recalcati dopo il «miracoloso» bronzo agli Europei di Stoccolma che portò l’anno dopo all’ancor più sorprendente argento olimpico di Atene 2004: «Non vi illudete, dopo questa generazione di giocatori azzurri ci sarà un lungo periodo di crisi». Fu purtroppo buon profeta, ma come tutte le cassandre non venne creduto. Da allora la nostra Nazionale di basket non ha più vinto ed è molto significativo che in quello stesso 2004 ci fu l’ultima finale di una squadra italiana (la Fortitudo Bologna, poi scomparsa) nell’Eurolega, massima competizione continentale per club, che l’Italia non vince dal 2001 (con l’altra bolognese Virtus). Anche questo sono dati casuali? No, certo, se mai il frutto di scriteriate scelte federali e societarie, legate anche alla legge Bosman, che hanno quasi azzerato la famosa scuola tecnica italiana, impoverito il parco degli istruttori di basket, cancellato molti prolifici vivai, limitato il numero di posti disponibili in serie A per i giocatori italiani, i migliori dei quali sono stati valorizzati più all’estero che da noi. La disfatta di Torino, fra le più cocenti nella storia della nostra pallacanestro, va presa come monito e scossa per ripartire: con Messina ct ma con altri progetti, prima che il nostro basket muoia definitivamente.