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 2016  luglio 11 Lunedì calendario

L’incredibile notte di Cristiano Ronaldo

La fascia di capitano piomba sul campo insieme al silenzio. Cristiano Ronaldo lascia la finale che ha costruito per 12 anni e tutto il Portogallo lo scorta fuori. Esce da fenomeno e rientra da dodicesimo uomo e si trasforma in un allenatore, porterebbe anche l’acqua pur di vivere un pezzo della gloria che ha aspettato così a lungo. E che alla fine gli casca addosso comunque. E lo consola.
Lui piange, i tifosi con le bandiere sulle guance piangono, il ct Fernando Santos tiene una mano sulla bocca e con l’altra si aggrappa alla panchina: al momento del crac vorrebbe tanto piangere anche lui. Prima di arrendersi hanno tentato di rattoppare l’idolo, prima di cedere Cristiano ha provato a resistere per diciassette strazianti minuti. Quando Payet dopo 8’ gli arriva addosso lui urla e nessuno capisce perché Ronaldo è abituato a cadute scenografiche: le prende in ogni partita e si difende così, drammatizza per evitare l’accanimento solo che allo Stade de France non mostra smorfie, solo disperazione. Le lacrime lo segnano subito, zoppica e si ritrova al punto di partenza: distrutto in mezzo a una finale persa. Almeno per lui. Il destino gli regalerà il riscatto.
Il momento più difficile
Aveva iniziato con un applauso alla squadra al momento del riscaldamento, urla e incitamenti ai suoi all’uscita del tunnel: serve grinta per ignorare un pubblico ostile. CR7 è allenato anche questo, è preparato a tutto con il fisico da atleta perfetto e il cambio di passo che ha mantenuto fresco a dispetto dei 31 anni. Sa reggere i cori contro, schivare i «Messi Messi» che gli lanciano da ogni curva avversaria, però non può reagire all’infortunio e ancora meno decidersi a uscire anche se tra l’impatto con Payet, che gli fa girare il ginocchio e la vita, e il momento del cambio la squadra tentenna insieme con lui e rischia di crollare con lui.
Il tweet della mamma
Ronaldo torna ai box e nessuno lo rimpiazza, lui non vuole fare i conti con la realtà e i compagni lo assecondano per rispetto. La madre, che ha archiviato il lieto fine, twitta: «Nel calcio si tira il pallone, non si punta l’avversario». Dolores si sfoga, gli altri attendono diligenti l’istante in cui il capitano, il leader, il totem accetterà la resa. Il segnale è quella fascia strappata dal braccio e buttata, ma prima di issarsi sulla barella, distrutto e inconsolabile, è ancora Ronaldo che infila il simbolo del comando sul braccio di Nani. Un lascito è la disperata richiesta di vincere senza di lui. Di vincere per lui. Restano le lacrime da mettere in fila in una carriera eccezionale che ha chiesto il conto sul più bello e la foto in cui una delle tante falene, arrivate a infestare la notte di Parigi, gli si appoggia sul naso. È solo un insetto, ma ricorda una qualche calamità, un’emergenza scacciata a tempo scaduto.
È una partita strana, la tensione prende in ostaggio la sfida e l’uscita del campione tra i singhiozzi condiziona il gioco. Nessuna delle due squadre sa smarcarsi dallo choc e il pubblico portoghese non lo vuole proprio fare. Cantano «Cristiano Ronaldo» fino alla fine.
La gloria in coda
Sembra di essere tornati a Fortaleza, quando ai quarti degli ultimi Mondiali il Brasile si è ammutolito davanti all’infortunio di Neymar. Non è quello il peggiore dei loro ricordi, ma l’atmosfera era identica alla finale degli Europei. Ronaldo la saluta e non la molla: rientra, fasciato, prima dei supplementari per togliere un po’ di stanchezza dalla spalle degli altri. La spazza via a forza di pacche e strette, poi abbraccia Quaresma, gli gratta la foglia d’alloro dorata che si è inciso sui capelli, e i due si scambiano parole troppo cariche di emozioni. Cristiano è di nuovo in lacrime e se ne andrà così. Neanche stavolta sono lacrime di gioia, ma di gloria sì.