Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2016
Valentino Zeichen, condannato a sfiorare lievemente cose e persone, in un tempo sempre ripetuto
L’esistenza di Valentino Zeichen, nato a Fiume nel 1938 e poi a Roma dal 1950, sembrava potersi svolgere – dentro una eterna primavera romana – all’interno del perimetro urbano delineato nel suo recente romanzo La Sumera: la casa-baracca del Borghetto Flaminio (dove ha sempre vissuto in semi-povertà), la Galleria d’Arte Moderna, il Tevere e poi allargandosi ai vernissage, alle cene scroccate da “benevole mecenate”, ai reading di poesia. La inesausta flânerie di un dandy smarrito nella folla metropolitana e nei sentieri mai interrotti della lingua. Quasi condannato a sfiorare lievemente – con agudezas, motti di spirito e calembour- cose e persone, in un tempo sempre ripetuto: «i risorti per primi / saranno nuovamente morti / a conferma dell’eterno ritorno», da Area di rigore, prima raccolta, nel 1974). Ho già avuto modo di osservare che il suo ultimo straordinario romanzo, La Sumera – inopinatamente escluso dalla dozzina dello Strega –, parafrasando un romanzo brasiliano (Una giornata Mastroianni) avrebbe potuto legittimamente intitolarsi Una giornata Zeichen.
Certo, l’universo poetico di Zeichen – raccolto in un Oscar Mondadori –, che mescola liberamente verso e prosa, che ricerca un ritmo interno svincolato dall’obbligo della rima, sembra imparentato con crepuscolari e surrealisti, declinati però su un versante decisamente ludico, con Palazzeschi e financo con Petrolini: «Nell’euforia alcolica /s’attarda il poeta aulico». I tentativi di definire Zeichen sembrano tutti contagiati dallo scrittore, hanno qualcosa di beffardo e giocoso: «libertino minimale settecentesco»(Ferroni), «Marziale contemporaneo»(Moravia), «un Gozzano dopo la Scuola di Francoforte»(Pagliarani). Eppure tutti sembrano girare intorno alle tenebre indecifrabili da cui si genera la sua poesia: «L’impossibilità di ritrarre l’invisibile è dovuta al fatto che il mondo interiore è buio…»(«Aforismi», in Metafisica tascabile, 1997). Dunque la Giornata Zeichen, ingannevolmente solare, rivela un’ombra luttuosa. Il motivo della morte, accanto a quelli della guerra e della Storia (specie in Gibilterra), del dialogo con gli amici, delle donne amanti o muse protettrici, della vita quotidiana, dell’arte, dell’amore per Roma (in Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio), è largamente presente nella sua opera, variamente esorcizzato: «Se di me sopravviverà un nulla / di qualche movimento /sarà il cognome /scritto all’estremo della tabella/di una linea d’autobus /a patto che un altro poeta /acconsenta che col suo nome /si intitoli l’altro capolinea /così da poterci scambiare /delle visite» (“Piazza” da Ricreazione, 1979). E poi scrive: «Se la vita non ci ha ancora ucciso è solo perché le manca la mira della morte»(«Aforismi»).
La vita ha una mira imprecisa: è approssimativa, incline a dissipare se stessa in una interminabile passeggiata walseriana. Ma occorre ricordare anche le poesie ecfrastiche della serie «Pinacoteca», con alcune descrizioni abbaglianti di quadri di Giorgione e De Chirico. E neanche va trascurato il coté speculativo e quello civile del poeta. Anzitutto: violando il monito leopardiano che stabiliva «nemicizia giurata e mortale» tra poesia e filosofia una composizione si intitola Analitici & Continentali: «La moda filosofica li divide /tra stelle fredde e calde,/ in analitici e continentali./ I primi, angloamericani, /inventano e brevettano. /I secondi, europei, essendo /più inclini all’ermeneutica, /interpretano tutto quello /che non si può brevettare». Mentre sugli eroi civili scriverà: «Al poliziotto Marlowe / di Raymond Chandler / sembrano ispirarsi i nostri/ Borsellino, Falcone, Di Pietro;/ investigatori che sfidano il crimine/ per l’equivalente di 25 dollari al giorno,/ più le spese, e niente altro/…». Gioco funambolico e malinconia, angoscia del divenire e svagatezza ironico-mondana si rincorrono come temi musicali nell’opera ancora in parte inafferrabile di uno dei nostri maggiori poeti contemporanei: «Se il nostro sonno di piombo /equivale al dormire nella morte /dubito che molti si risveglieranno /in tempo per risorgere, /così la resurrezione /verrà rimandata (sine die) /per l’insufficiente numero/ di candidati svegli».