La Stampa, 10 luglio 2016
La bambina che portava i pizzini di Messina Denaro
La bambina usata per portare i pizzini di Matteo Messina Denaro Lo «zio Mimmo», Domenico Scimonelli, capo della mafia di Partanna di Trapani e fedelissimo di Matteo Messina Denaro, spesso le offriva un gelato e se la portava a spasso.
Ma tanto affetto non era disinteressato perché la bambina, 5 anni, si rivelava utilissima per distribuire la «posta» indirizzata al boss don Matteo. Lo «zio Mimmo», infatti, nascondeva i «pizzini» nelle tasche del giubbino della piccola che, nel caso di fermo, non sarebbe stata mai perquisita. In sostanza il ruolo inconscio della bambina era quello di «borsa» del «postino Mimmo». Così ha raccontato ai magistrati di Trapani il pentito Attilio Fogazza, papà della bambina, testimoniando in tribunale e illustrando il sistema clandestino di recapito della corrispondenza di Messina Denaro.
La rivelazione è stata accolta con qualche sussulto, ma non ha provocato grande stupore visto che l’«educazione mafiosa» riservata al bambini, nella provincia di Trapani, sembra una consuetudine abbondantemente consolidata. L’indirizzo pedagogico, ovviamente, va verso il riconoscimento dei sacri e antichi disvalori mafiosi e il conseguente disconoscimento dei valori della legalità. Lo stesso Matteo Messina Denaro, nella sua produzione letteraria (in specie la corrispondenza con Antonio Vaccarino, che faceva da esca per conto dei carabinieri) si abbandonava spesso alla celebrazione della «cultura» trasmessagli dal padre, don Ciccio, morto in latitanza.
Qualche tempo fa, inoltre, durante le indagini per la cattura del boss Vincenzo Virga, gli agenti che ascoltavano tutti i discorsi del figlio, Francesco, rimasero senza parole sentendolo «educare» il figlioletto di nove anni. I due stavano in auto e, passando davanti al carcere di Trapani, Francesco diceva al piccolo: «Vedi qua dentro? Ci stanno chiuse moltissime persone perbene, amici nostri che quando usciranno saranno festeggiati con tutti gli onori». Qualche minuto dopo l’auto passava davanti alla questura e Francesco, indicando il piantone in divisa, aggiungeva: «Quello là, invece, mi piacerebbe prenderlo a pugni».
La signora Rosa Maria Alagna, vedova, fu arrestata perché aveva offerto ospitalità – nella sua villa di Marsala – ai boss latitanti Natale Bonafede e Andrea Mangiaracina. Interrogata sui motivi che l’avevano spinto all’insana scelta non esitò ad ammettere: «Sono sola, non ho marito e ho due figli: una femmina e un maschio. Quest’ultimo mi dava qualche pensiero per i suoi comportamenti. Allora ho pensato che due uomini forti, come i miei ospiti, potessero insegnargli qualcosa di buono».
Poveri bambini. Devastati da un mondo che, poi, si vanta di osservare grande rispetto verso i minori. «I bambini non si toccano»: su questa bugia poggia uno dei più clamorosi inganni della «liturgia» di Cosa nostra. A smentire il falso basterebbe il lungo elenco dei piccoli uccisi dalla mafia: da Paolino Riccobono a Claudio Domino a Giuseppe Letizia, il pastorello testimone dell’assassinio del sindacalista Placido Rizzotto, ucciso con una iniezione d’aria perché non testimoniasse.