La Stampa, 10 luglio 2016
Come Micah Xavier Johnson è diventato un killer
Sul rettangolo di gioco un manipolo di ragazzini si sfida in estenuanti partite sotto il sole cocente dell’estate texana. Corse a canestro interrotte solo da fugaci soste alle fontane nel prato circostante. Siamo a Pecan Creek, tranquillo quartiere della classe media di Mesquite, a una ventina di chilometri da Dallas, dove il campo da basket è tra le maggiori attrazioni per i giovani del posto. Tra loro, fino a poco tempo fa, c’era anche Micah Xavier Johnson, il carnefice dei cinque poliziotti uccisi nel massacro di giovedì sera. Micah è cresciuto tra queste strade e in questo campetto si ritrovava spesso con gli amici sin da quando era bambino.
L’ultima partita
«Era un tipo “cool”, a posto, sono sotto shock». A parlare è Israel Cooper, 19 anni, con cui l’ex riservista dell’esercito giocava regolarmente a basket da circa due anni. L’ultima è stata sette giorni fa, quando per la prima volta Johnson gli ha parlato del gruppo “Black Lives Matter” e della sua rabbia verso gli agenti bianchi che prendevano di mira gli afroamericani. «Spesso sono i soggetti tranquilli che fanno le cose più devastanti», continua il ragazzo.
Di fronte al campetto si trova la Jay Thompson Elementary School, quella frequentata dal killer. «So che ha fatto la mia stessa scuola, ma lui era più grande», dice Sath, appena teenager, il quale spiega che la sua famiglia è sconvolta e i genitori ora vorrebbero addirittura andare via dal quartiere. Anche Destinee Harris vive a Pecan Creek, non conosceva di persona il cecchino, ma lo vedeva camminare spesso tra queste vie. «Indossava maglietta e pantaloncini da basket, sembrava rilassato», spiega. Desiree incrociava spesso anche la madre di lui, Delphene Johnson: «Ci salutiamo sempre, è una persona gentile», continua. Chi invece sa bene chi era il 25enne ex militare è un ragazzino di nome Aleck: suo fratello Angel Razo è stato fidanzato con la sorella del killer, Nicole. «Mi ha sempre detto che era un ragazzo come tanti, non certo un pazzo – afferma – Come tutta la sua famiglia, abitano proprio qui di fronte».
La casa dove Micah è cresciuto è al numero 3005 di Helen Ln, una bella costruzione in mattoni su due piani, con un giardino curato, e sul retro l’immancabile canestro appeso al muro. Qui viveva con la madre e la sorella, i genitori si erano separati quando era piccolo e il padre si era risposato con una donna bianca – particolare non trascurabile – un’insegnante di nome Donna Ferrier. Oggi le tapparelle sono abbassate e regna un silenzio irreale, interrotto soltanto dalla sirena della macchina di pattuglia della polizia, che suona se qualcuno si avvicina troppo.
L’arsenale in casa
Sono questi i punti di riferimento della vita di ’X’, come lo chiamavano gli amici, un ragazzo del quartiere ma anche un ex soldato, che all’interno della casa di Mesquite conservava un vero e proprio arsenale. Materiali per la fabbricazione di ordigni, giubbotti anti-proiettili, munizioni e un diario sulle tattiche di combattimento. Per sei anni Johnson è stato riservista dell’esercito, e nel novembre 2013 fu inviato in Afghanistan con la 420esima Engineer Brigade come muratore e falegname. Nel maggio 2014, però, una donna soldato lo ha accusato di molestie sessuali e i superiori lo hanno rimpatriarlo con tanto di aiuto psicologico. È al ritorno dal fronte che il killer ha iniziato ad avvicinarsi ai movimenti di lotta degli afroamericani come Black Lives Matter. E su Facebook seguiva organizzazioni nazionaliste nere come l’African American Defense League e i New Black Panther Party, di cui è stato membro per sei mesi nella sede di Houston.
I nazionalisti neri
A parlare di lui è anche Babu Omowale, co-fondatore del Huey P. Newton Gun Club, una milizia nera con sede a Dallas che organizza pattugliamenti armati della comunità. «Non lo perdoniamo, non lo sosteniamo, ma lo comprendiamo», afferma, rivelando che Johnson ha partecipato a diverse iniziative del movimento. «Capiamo le condizioni dell’America di oggi che lo hanno portato ad agire in questo modo», conclude. Il killer era quindi un autentico “black nationalist”, ma dai suoi profili sul web emerge anche una simpatia per Elijah Muhammad, attivista e religioso statunitense, capo della Nazione dell’Islam, organizzazione afroamericana Usa che unisce le rivendicazioni dei neri con il radicalismo islamico. Un elemento non trascurato dagli investigatori, intenti a capire se ci sia un tentativo dell’integralismo islamico di «individuare nelle aree periferiche i soggetti vulnerabili da coltivare come jihadisti ibridi».