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 2016  luglio 08 Venerdì calendario

In morte di Gabriele Pescatore

Il prossimo 21 ottobre Gabriele Pescatore, che si è spento ieri, avrebbe varcato la soglia del secolo. Una personalità, la sua, che ha marcato come poche la storia dell’Italia repubblicana rivestendo ruoli apicali nel Paese e le cui azioni e realizzazioni esemplari hanno degnamente corrisposto alle alte responsabilità che gli furono assegnate. Pescatore, un irpino, nato a Serino, schivo, franco, inflessibile, aperto e leale al confronto, ha percorso molte vie al servizio dello Stato con intensissimo rigore e con una esemplare capacità operativa. Alle facili ribalte ha costantemente preferito un signorile basso profilo con ciò rappresentando un esempio tra i più ammirabili e significativi di quella classe dirigente che ha portato un Paese, devastato dalla guerra, al miracolo degli anni 60 e 70 fino al rango di quinta potenza mondiale. 
Guardando oggi a quel passato sentiamo tutto il peso del venir meno di quelle capacità di disegnare strategie, di inserirsi da protagonisti nel mondo che muta e di spingersi con pragmatica coerenza verso obiettivi ambiziosi. 
Di Gabriele Pescatore vanno ricordate molte cose, a partire dal suo ruolo accademico; docente dal 1938 di diritto della navigazione, contribuì da artefice alla redazione del nostro codice della navigazione; dopo la esperienza della Cassa per il Mezzogiorno che lo vide presidente dal 1955 al 1976, assume la presidenza del Consiglio di Stato (1980-1986) e poi dal 1986 la funzione di giudice della Corte Costituzionale della quale diviene vice-presidente dal 1993 al 1995. Della Svimez, l’Associazione impegnata dal 1946 nel difficile compito di analisi e proposte per l’unificazione economica dell’Italia, Pescatore fu autorevole Consigliere di Amministrazione dal 1955 al 2007, a fianco dei fondatori Morandi, Saraceno, Menichella, Giordani, Cenzato rappresentando una preziosa sponda di saggezza operativa ed amministrativa.
L’esperienza di Pescatore si iscrive tutta nella fase magica dello sviluppo, quando il Mezzogiorno, per la prima volta nella storia unitaria, contribuì in misura decisiva alla crescita e a realizzare il “miracolo”. Infatti di quella stagione proprio lui – da presidente della Cassa per il Mezzogiorno – fu protagonista. Un’esperienza che più che per un omaggio alla storia, oggi merita una laica, rinnovata e aggiornata riflessione finalizzata al “che fare” per uscire da questa crisi troppo lunga che spacca il Paese; per evitare di ritrovarsi a governare la stagnazione della quale soffre l’Italia dal 1998 e riprendere invece una stagione di sviluppo essenziale tanto al Nord che al Sud. E Pescatore fu protagonista non solo nel gestire la delicata macchina operativa della Cassa, ma anche nel porre le basi del suo successo, a partire dalla dimensione finanziaria dell’intervento straordinario. Attorno a questa strategia si consolidò infatti un’alleanza che -via Banca Mondiale- saldò ambienti di una finanza internazionale autenticamente tesa allo sviluppo ad una classe dirigente nazionale. Un’alleanza decisiva per porre in liquidazione, a partire da Sud, il “blocco storico” italiano. La bellissima immagine del giovane Pescatore che scende la scaletta dell’aereo che lo riporta a Roma dalla missione negli Stati Uniti, ben sintetizza quella dinamica, quei risultati e testimonia il credito e la stima internazionale che l’Italia si assicurò.
Gli anni eroici della Cassa: quelli della preindustrializzazione al servizio della riforma agraria e, poi, dell’industrializzazione tanto demonizzata, quanto poco e malamente analizzata furono fondamentali per consentire all’Italia dopo il trattato di Roma del 1957 di aprirsi e competere con successo in Europa. Industrializzazione e riforma agraria, opera della Cassa di Pescatore, investimenti di frontiera in capitale umano (il Centro di Specializzazione di Manlio Rossi-Doria a Portici) segnano dunque (in parallelo ad un recupero di dieci punti di Pil procapite del Sud) la dissoluzione del “blocco storico”, conseguendo il risultato di liberare energie, costruendo un mercato nazionale ed evitando -allora- l’instaurarsi di quella dipendenza patologica che segnerà invece dal 1976 in poi il nuovo sempre meno funzionale rapporto Nord-Sud. E, non a caso proprio nel 1976, Pescatore fu – quasi a sua insaputa – sollevato dalla presidenza della Cassa. Pochi anni di esperienza di governi regionali faranno sì che il gioiello operativo che conta poco più di 300 tecnici si trasformi in un pletorico apparato burocratico di migliaia di addetti. E, a seguire, la repentina cancellazione nel1992, dell’intervento straordinario, mentre riuscirà a precipitare il Mezzogiorno in una acutissima crisi non riuscì certo a scalfire le sue patologie, per certi versi anzi acuite dalla successiva generosa e irreale retorica della Nuova Programmazione che dal 1998 governa quel che resta delle politiche di sviluppo. 
Il basso profilo, prediletto da Pescatore, non giustifica il cono d’ombra di questi anni né tanto meno l’oblio di un’esperienza che deve invece essere cara a tutto il Paese. Si è detto di Pescatore il “grande elimosiniere” ma la cifra della sua esperienza è quella del “grande innovatore”, che con competenza e rigore, a fronte di durissime contingenze storiche ha operato per aprire e dar spazio a una Italia veramente nuova. 
L’uomo che guidò la prima Cassa del Mezzogiorno, fece arrivare in Italia i soldi esteri, portò l’acqua in Sardegna, quando mi raccontava di avere appreso dal Tg1 delle 20 di essere stato sostituito senza che nessuno, dico nessuno, avesse avuto la buona educazione non tanto di ringraziarlo, ma almeno di avvisarlo. Con la sua uscita di scena si compì l’assalto partitocratico a una delle strutture tecniche di sviluppo più efficienti a livello globale: i dipendenti assunti con il più rigoroso dei manuali Cencelli, non si fecero più opere, non si seppero mantenere quelle importantissime già fatte che segnarono l’uscita del Paese dalle macerie della guerra e da uno stato di economia rurale a quello di economia industriale, si fecero solo assistenza, clientele e sprechi fino a trasformare un gioiello di modernità in un maxi-carrozzone sinonimo di ruberia che tanto ha nuociuto alla crescita della parte sana e competitiva del nostro Mezzogiorno e molto ha contribuito a rimuovere dalla coscienza nazionale l’irrisolta, anzi aggravatasi, questione meridionale. I «nuovi consiglieri di fiducia» posero le basi per il fallimento di quell’esperienza di successo e il prezzo carissimo di quell’errore lo paghiamo ancora oggi.

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«Con Gabriele Pescatore scompare uno dei veri “grand commis” dello Stato e direi uno dei fondatori dell’Italia moderna». Lo ricorda così Sabino Cassese, amministrativista illustre, ministro, giudice emerito della Corte Costituzionale, professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, nonché professore di “Global governance” al “Master of Public Affairs” dell’Institut d’études politiques di Parigi. «Irpino di nascita è sempre stato molto legato alla sua terra» continua Cassese. 
«Entrò giovanissimo in quel “grande corpo” che è il Consiglio di Stato, di cui poi divenne anche presidente per poi essere nominato giudice costituzionale. Come presidente del Consiglio di Stato è ancora oggi ricordato per la straordinaria conoscenza sia del fenomeno amministrativo concreto, sia della giurisprudenza e della dottrina amministrativistica. Come relatore alla Corte costituzionale di questione di grande rilevanza è stato sempre apprezzato per conoscenza della materia, equilibrio e capacità di proporre soluzioni ispirate ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Per cultura, intelligenza, perizia nell’amministrare ed equilibrio nel giudicare è stato sempre all’altezza delle migliori tradizioni della società irpina, che ha dato al Paese moltissimi altri illustri amministratori, la vita di uno dei quali si è più volte incrociata con quella di Pescatore: mi riferisco ad Antonio Maccanico».
Fin qui il giurista, ma Pescatore è stato anche un vero amministratore della cosa pubblica. 
Fu a lungo presidente della Cassa per il Mezzogiorno. Pochi come lui hanno attraversato tutte le istituzioni italiane. Studioso preparatissimo, è stato anche in qualche modo un ricercatore-professore, perché libero docente di diritto della navigazione. Univa grandissima esperienza pratica a una capacità non comune di inquadramento teorico dei problemi amministrativi. Come amministratore pubblico ha gestito tutti gli investimenti nel Mezzogiorno della Cassa, istituita nel 1950, di cui divenne presidente dopo Carbone. La sua gestione degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, allora concentrati nell’agricoltura e nei lavori pubblici è ancora oggi un esempio di buona amministrazione.
In che senso erano interventi “straordinari”? 
La sua gestione della Cassa del Mezzogiorno si è svolta nel periodo migliore della Cassa, quando questa, ispirata originariamente al modello della “Tennesse Valley Authority”, faceva interventi limitati e, quindi prima dell’allargamento dei suoi interventi ad ambiti ulteriori come l’industria. In quel lasso di tempo la Cassa ha fatto veramente interventi di carattere straordinario, mentre successivamente la straordinarietà dell’intervento è andata diminuendo, anche perché non si facevano interventi ordinari. Quindi un altro merito di Pescatore è stato quello di salvaguardare sempre il carattere aggiuntivo degli investimenti straordinari nel Sud.
Come definirebbe la collaborazione di Pescatore con la politica? 
I suoi legami con la politica sono stati molto stretti, avendo svolto compiti di ausilio di numerosi Governi, ma Pescatore ha sempre conservato una indipendenza di giudizio, una autonomia di opinioni che rispondevano alla sua figura e al suo ruolo come “grand commis”.