Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2016
Il carbone rialza la testa e sfonda il muro dei 55 dollari a tonnellata. Roba da record
Il suo declino resta probabilmente irreversibile, quanto meno in Occidente. Ma il carbone ha rialzato la testa: i prezzi, sostenuti da una minor produzione e da un risveglio della domanda, sono in forte rialzo in quasi tutte le aree del mondo e in Europa addirittura si sono spinti al record da un anno. Solo nell’ultima settimana i carichi importati al terminal Ara (Amsterdam-Rotterdam-Anversa) sono rincarati del 10%, raggiungendo 56,50 dollari per tonnellata. Rispetto a febbraio, quando il prezzo era ai minimi da 13 anni, il recupero è di circa il 35 per cento.
Un’analoga tendenza al rialzo si registra anche per il carbone australiano, spesso diretto in Cina, con il prezzo a Newcastle che ha raggiunto in questi giorni 58,70 $/tonn, mentre il benchmark sudafricano di Richards Bay è salito a 59,90 $/tonn.
Anche il petrolio si è risollevato dopo il crollo delle quotazioni e, benché non vi sia concorrenza diretta tra i due combustibili, una certa influenza sui prezzi viene tuttora esercitata attraverso il gas, che invece compete col carbone nella generazione di energia elettrica, con uno switch che nei sistemi più flessibili può anche essere piuttosto rapido. Quasi tutto il Gas naturale liquefatto (Gnl) e una parte delle forniture via gasdotto restano infatti indicizzati al greggio.
Sono però soprattutto i fondamentali del carbone ad essere migliorati, consentendo ai prezzi di tornare a correre dopo una discesa che durava quasi ininterrottamente da quasi 8 anni e che li aveva portati da picchi oltre 200 dollari per tonnellata nel 2008 a valori di poco superiori a 40 dollari all’inizio di quest’anno.
Il crollo dei prezzi, ancora più lungo e doloroso di quello vissuto dal mercato petrolifero, ha colpito duramente i produttori e l’offerta sta finalmente calando. Contemporaneamente nelle ultime settimane ci sono stati ordini molto consistenti dalla Corea del Sud: 10 milioni di tonnellate di carbone acquistati tra giugno e luglio, per consegna tra agosto e dicembre.
È?sul fronte della produzione che si osservano le novità più rilevanti. Negli Stati Uniti in particolare, dove la concorrenza dello shale gas è fortissima, nell’ultimo anno sono finite in bancarotta almeno sei società carbonifere, compresi colossi del calibro di Peabody Energy,Arch Coal e Alpha Natural Resources.
Fino a poco tempo fa gli americani riversavano sui mercati di esportazione gran parte della produzione in eccesso. Ma la crisi alla fine ha costretto a chiudere o rallentare le operazioni minerarie. Nel 2015 l’output di carbone degli Usa è diminuito del 10% a 900 milioni di tonnellate short e quest’anno il declino sta accelerando: il primo trimestre è stato il più debole dal 1981, con appena 173 milioni di tonnellate short, addirittura il 17% in meno rispetto al trimestre precedente.
Il gas d’altra parte sta facendo passi da gigante oltre Oceano: in aprile per il terzo mese consecutivo ha superato il carbone nel mix di generazione, con il 34% contro il 25% (fino a dieci anni fa gli Usa ricavavano dal carbone oltre la metà dell’energia elettrica).
La tendenza probabilmente non si invertirà. E nemmeno è immaginabile che il carbone riesca a riguadagnare spazio e consensi nelle altre economie avanzate, che ormai puntano su energie più pulite per tutelare l’ambiente e rispettare gli impegni internazionali sul cambiamento climatico.
D’altra parte anche la Cina sta riducendo sia i consumi (e non solo per il rallentamento dell’economia) sia la produzione, anche se per ora con misure temporanee: il governo ha imposto di ridurre le giornate lavorative nelle miniere da 330 a 276 l’anno, di fatto tagliando la produzione di oltre il 20% stima Deutsche Bank.