Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2016
Il manuale delle buone prassi della giustizia. Un vademecum di 251 voci che vanno dal lavoro dei detenuti alle app passando per il processo telematico
Non è vero che l’inefficienza della giustizia – dall’eccessiva durata dei processi all’enorme mole di prescrizioni – dipende dalla scarsa cultura organizzativa dei capi degli uffici giudiziari e dalla loro incapacità di ottimizzare le risorse disponibili. «È una critica infondata» dice il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, mostrando alla stampa il Manuale delle buone prassi organizzative diffuse negli uffici giudiziari italiani, realizzato per la prima volta dal Csm e approvato ieri dal plenum all’unanimità. Una sorta di «vademecum» in cui sono selezionate 251 delle 1500 buone prassi inviate negli anni a Palazzo dei Marescialli e archiviate in una Banca dati: le migliori sul piano dei risultati ottenuti e della loro riproducibilità in altri contesti. «Un lavoro preziosissimo di straordinaria complessità – spiega Legnini – che non costituisce solo un censimento delle buone pratiche ma è l’espressione di un salto culturale del Csm e della magistratura italiana». Difficile non cogliere una velata polemica con il ministro della Giustizia Andrea Orlando e con chi, nel governo e nella maggioranza, invece di colmare le gravi carenze di risorse (mancano 9mila cancellieri e mille magistrati) o di approvare quanto prima riforme di sistema efficaci (come sulla prescrizione), continua a prendersela con l’incapacità organizzativa dei capi degli uffici e con il Csm che li nomina. «Ora il governo e il Parlamento diano risposte urgenti sul tema del personale amministrativo e sugli organici» chiosa Legnini, come a dire che il Csm e i magistrati hanno fatto la loro parte, la politica non ancora (il decreto legge “efficienza” è sempre bloccato a Palazzo Chigi).
Al vademecum si è arrivati dopo un anno e mezzo di lavoro, coordinato dai togati Antonello Ardituro (Area) e Francesco Cananzi (Unicost) che si sono alternati alla presidenza della settima commissione del Csm e che ieri – in una conferenza stampa con Legnini – hanno riassunto il senso e l’obiettivo dell’iniziativa, rivolta a tutti i capi degli uffici (affinché attingano alle buone prassi là dove è possibile), al ministro della Giustizia (affinché consideri le buone prassi e i modelli di organizzazione indicati nel manuale per lo sviluppo delle iniziative in materia di innovazione e per il proseguimento del progetto ministeriale sulle buone prassi), alla Scuola della magistratura (affinché utilizzi il progetto nella programmazione della formazione dei magistrati).
La lettura del manuale rivela, in effetti, grandi sforzi e progettualità degli uffici, che in molti casi hanno utilizzato il lavoro dei detenuti (a volte gratuitamente) per migliorare la qualità del servizio. Come al Tribunale di Locri, per ritinteggiare lo stabile in stato di abbandono, o alla Procura di Cagliari, per digitalizzare i fascicoli, o alla Procura e al Tribunale di Milano, dove è stata affidata a cooperative di detenuti ammessi al lavoro all’esterno la dematerializzazione degli atti giudiziari. Ancora: alla Corte d’appello dell’Aquila si è puntato sul registro informatico dei procedimenti pendenti con selezione delle priorità, riuscendo ad abbattere il 40% dell’arretrato; la Procura di Sciacca, attraverso protocolli d’intesa ad hoc, ha istituito una rete con l’ufficio anagrafe per la diretta estrapolazione dei certificati in via telematica; il Tribunale di Ancona ha eliminato l’arretrato grazie a un utilizzo innovativo della magistratura onoraria; nelle Procure di Torino e Palermo, ma anche di Roma e di Firenze, è possibile chiedere il certificato al casellario con un clic sul pc; a Forlì basta una app scaricabile da qualunque utenza per scorrere il calendario settimanale delle udienze e a Bologna tra poco non sarà più necessario andare al Palazzo di giustizia per il deposito di atti e documenti ma basterà raggiungere un Punto di accesso del Comune al processo telematico del ministero della Giustizia per provvedere con modalità digitali risparmiando tempo e denaro (si calcolano 146 euro per il cittadino).
Paradossalmente, però, alcuni degli uffici più virtuosi quanto a buone pratiche si ritrovano – nonostante lo sforzo di supplire alla carenze di risorse – nella lista ministeriale di quelli meno virtuosi sul fronte prescrizione (come i Tribunali di Nuoro, Isernia, Ancona, Foggia, o le Procure di Milano, Nola, Cagliari)... Ma tant’è.
Nell’ultimo anno sono state inserite 709 buone prassi – di cui 445 dagli uffici giudicanti e 264 da quelli requirenti – e da esse sono stati estratti 33 modelli di organizzazione classificati in 7 macroaree. «Non c’è più un forte divario tra Nord e Sud» sottolinea Ardituro, salvo Milano e Brescia che restano due «eccellenze», così come anche negli uffici più piccoli «c’è un impegno rilevantissimo». «La diffusività delle buone prassi – aggiunge Cananzi – dà uno spaccato della dirigenza e dell’attenzione all’organizzazione, nata per supplire alle difficoltà ma ormai diventata un habitus mentale per dare ai cittadini il miglior servizio possibile».