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 2016  luglio 08 Venerdì calendario

Con quella faccia un po’ così Calcutta si racconta

Con quella faccia un po’ così, con quello stile un po’ così: sta di fatto che Edoardo D’Erme, 27 anni, da Latina, per numero di visualizzazioni, fan disseminati per l’Italia, surrealismo a piene mani – da legittimare la domanda «è così? O ci fa?» – sta sforando i confini di cantautore indie. C’è già chi lo apparenta alla schiera di Rino Gaetano, Lo Stato sociale, Vasco Brondi. E oltre. «Mainstream» è l’album che presenterà stasera al laghetto di Villa Ada (Bomba Dischi, distribuito da Sony). Il 3 giugno scorso ne è uscita una versione Deluxe, contenente anche l’inedito «Albero».
Che concerto sarà?
«Viaggerò anche fra le mie vecchie canzoni, edite e inedite, per me non fa differenza. Per esempio eseguirò pezzi passati in acustico su youtube, riarrangiati in occasione del live per non far allentare il ritmo alla band. Niente di che, insomma».
I suoi video sono seguitissimi.
«L’etichetta ci tiene. Con Francesco Lettieri, alla regia, ci conoscevamo, e così sono nate molte clip. Ma io non sono un appassionato di video musicali, com’è invece ad esempio Pop_X (cantautore e musicista trentino, ndr) che le immagini le usa come punto di partenza. Non ho la tv da quando avevo dieci anni. A mia madre era antipatica, e la tolse dal salotto. A me non è importato mai niente».
Com’è nato «Mainstream»?
«Il disco è uscito quasi per caso. Non avevo una precisa intenzione di pubblicare: suonare era per me soprattutto un pretesto per baciare le ragazze, bere birre, dormire insieme agli amici. Ora in concerto le dinamiche sono diverse, ma continuo a divertirmi».
Il suo stile?
«Una Peroni e la chitarra, e il piacere della canzone pura, senza arrangiamenti, capace di trasmettere emozioni».
Che cosa la ispira?
«Ci sono cose della vita che mi colpiscono. Perché non saprei dire. A volte m’interrogo se vada bene così, se sia giusto. Poi però succede che passa un gabbiano e mi metto a osservarlo, mi addormento, e non ci penso più».
Per un periodo ha avuto casa al Pigneto.
«Mi piace molto, ora però vivo a Bologna. È al centro di alcune situazioni. In due tre ore sei al Nord, o al Sud. Gli affitti sono accettabili, giro a piedi, ed è una città ricca di fermenti musicali. Ho molti amici».
Che rapporti ha con la sua città di nascita, Latina?
«A intermittenza riesco a tornare. Ha una bella luce: intendo sia il bagliore naturale del sole, sia l’illuminazione dei lampioni. E non è una metafora. Davvero una piacevole atmosfera. L’aria è frizzante».
Lo sfondo per alcune sue canzoni.
«A volte succede, i ricordi sono tanti, ma tutto si mescola in maniera casuale. La mia musica è un campo minato di diverse suggestioni».
I testi di Calcutta sono pieni di visioni originali sull’amore, le persone, i luoghi. Che studi ha fatto?
«Mi sono formato al liceo classico» (il «Dante Alighieri» di Latina, ndr).
Voleva fare il musicista?
«Sono arrivato alla musica piano piano. Lavorare con la melodia è un conto, salire sul palco un altro. Esibirmi non è il mio sogno: a intrigarmi è più ciò che sta dietro le quinte, la creazione per altri artisti. Sono affascinato dall’effetto crudité della canzone allo stadio iniziale, appena scritta, solo piano e voce. Per questo amo i demo di gruppi come i Beatles o i Beach Boys. C’è una sessione di scrittura di John Lennon che mi fa impazzire».
Altri riferimenti?
«Lucio Battisti, Lucia Dalla, Luca Carboni. E ho una passione per Caetano Veloso».
Oltre «Mainstream»?
«Sono sempre in giro per concerti, quando terminerà il tour avrò più tempo per scrivere. Intanto riempio le giornate componendo per musicisti amici e sperimentando generi diversi dal mio. Mi butto molto. Non ho paura».
Qualche nome?
«Non sempre si sa con chi ci si scambia una sonorità, un ritornello. Si crea insieme: suonatori, produttori. Mi piace lavorare in gruppo. Una specie di università del “non si sa chi faremo felice”».
Calcutta e Roma.
«Manco da molto, ma a Roma ho voluto sempre bene, anche se mi ha fatto arrabbiare tante volte».
Motivo?
«Dal tram che non passa mai, alla ragazza che ti lascia».