la Repubblica, 8 luglio 2016
Tour de France, il padrone è sempre Cannonball Cavendish. Solo Merckx ha fatto meglio di lui
Tre su sei: Cavendish ci ha preso gusto, a interrompergli la serie saranno i Pirenei, non gli altri velocisti. La gerarchia è ben definita: qualcuno entra, come Daniel McLay, neozelandese, 24 anni, promette bene. E qualcuno esce: dai primi cinque Sagan, sesto, mentre Coquard non va oltre il nono posto e Greipel non arriva nei dieci. Il padrone è sempre Cannonball Cavendish, che si porta a 29 vittorie sorpassando Hinault e davanti ha solo Merckx. Addosso, la maglia verde già di Sagan. Ringrazia la sua squadra e anche la Sky. Come mai? La spiegazione era già contenuta nell’appello di Sagan sulla neutralizzazione ai 3 km. «Anche se fosse portata ai 5 km, non servirebbe. È questione di mentalità», aveva commentato Cavendish. Noi qui, e voi a casa, vediamo le volate in modo diverso da chi le fa pedalando. Stiamo attenti a quel che succede negli ultimi 300 metri, spesso anche meno. Ma è solo l’ultimo atto di una battaglia per la conquista della ruota utile che comincia a qualche km dal traguardo e ogni squadra ha il suo treno con precisi compiti, fino all’ultimo pesce-pilota (Renshaw, Sabatini). Basta il minimo sbandamento per far perdere posizioni, non facili da recuperare a quella velocità. O, peggio, cadere. Noi non diamo fastidio agli uomini d’alta classifica, dicono gli sprinter, mentre loro ce li troviamo tra i piedi regolarmente e questo è molto pericoloso perché non tutti sanno come muoversi in una volata di gruppo. «Nell’ultimo km la Sky ha lasciato campo libero. Facessero così anche altre squadre, vedreste volate più spettacolari e sicure. Ho vinto tre tappe perché mi sono preparato bene, ma è stato importante rompere subito il ghiaccio. Ora vinco perché non ho l’assillo di vincere, perché sono tranquillo».
Tranquilla, come da copione, anche la tappa, tra Cantal, Aveyron, Tarn-et-Garonne, tutti posti che consiglio a chi cerca vacanze tranquille: bella vegetazione, paesi che all’ora di cena sembrano abbandonati ma sono abitati da gente che va a letto presto. Se c’è una luce accesa può essere un ristorante, ma la cucina chiude alle 21. Sono ricomparsi i platani, non mi lamento. La corsa vera appare e scompare. Ieri, una fuga a due che dura 160 km, vantaggio sempre sotto i 5’. Prime due ore a 37,300 di media, altro che tirarsi il collo. I due sono il ceco Barta e il giapponese Arashiro, 32 anni entrambi, cambi regolari. Nel 2009 Arashiro, attualmente in maglia Lampre, fu il primo giapponese a portare a termine il Tour, come il connazionale Beppu. Al Giro del Qatar 2016 s’era rotto un femore. A lui il premio per il più combattivo. Il gruppo, ammesso che esista un suo cervello, sembra voler evitare due ore d’inseguimento a 60 all’ora per annullare una fuga che ha preso troppo spazio. Dando poco spazio, vanno più piano i fuggitivi e più piano il gruppo. Geniale. Può anche essere una forma di legittima difesa, in previsione dell’ultima settimana davvero micidiale. Oppure ci si stanca prima, senza aiuti e aiutini chimici, e le medie calano. Aggiungiamoci che con i platani è ricomparso il caldo: ieri 36°.
Come è difficile girare l’Italia senza imbattersi in una lapide che ricorda un pernottamento di Garibaldi, è difficile girare la Francia evitando luoghi che ricordino una delle tante sfortune di Poulidor. Ieri, la salita di Montsalvy. Nel 1968, percorsa in senso opposto, fu un calvario per Poulidor, che ad Aurillac si ritirò. Il guaio era del giorno prima, tappa che scendeva da Font Romeu ad Albi. Sui Pirenei Poulidor aveva guadagnato quasi 3’ ai rivali, era il grande favorito. Ma una moto dell’organizzazione, di quelle che annotavano i numeri dei corridori e li trasmettevano a Radio Corsa, per evitare un gruppetto di spettatori finisce in un fossatello, rimbalza sulla strada e centra la ruota posteriore di Poulidor, che si schianta. Si rialza coperto di sangue dalla testa (due microfratture facciali) alle braccia, alle ginocchia. Insiste per ripartire da Albi per Aurillac, ma non può nutrirsi e nemmeno azionare i freni. Dice: «Nella sfortuna ho avuto fortuna, mezzo metro di meno e ci lasciavo la pelle. A parte il ritiro, una cosa che mi ha fatto male è che quel motociclista non abbia mai chiesto notizie sulla mia salute». Ad Aurillac vinse Franco Bitossi. Su 110 partenti, solo 10 italiani: Bitossi finì ottavo in classifica, Ugo Colombo decimo. Bitossi vinse due tappe, portò a Parigi la maglia (allora rossa, non verde) della classifica a punti e finì secondo nella classifica degli scalatori e primo nella combinata. Gran corridore, Bitossi. Molti l’hanno dimenticato, io no.
Oggi prima tappa pirenaica. Unica difficoltà l’Aspin, Dalla cima al traguardo solo 7 km. Partirà una fuga da lontano, come mercoledì verso le Lioran. Per i pezzi grossi, si suppone, più una tappa di studio che d’azione. Se lo studio portasse all’azione, sarei parzialmente stupito. Oggi non si vince il Tour, ma lo si può perdere. Ad Aru posso solo augurare un po’ di buona compagnia sull’Aspin.