Corriere della Sera, 8 luglio 2016
Il ciclismo non ha bisogno di narrazione
Il ciclismo non ha bisogno di storytelling, di «narrazione». È già pieno di storie, è una fucina di racconti, grandi o piccoli non importa. Il Tour è alla sua prima settimana e, in concomitanza con gli Europei di calcio che si disputano proprio in Francia, ci regala subito una prima verità. Una partita modesta resta modesta; una tappa di «trasferimento», invece, nasconde sempre qualche insidia: una caduta, una foratura e il cuore comincia a palpitare.
E poi il ciclismo, e questo è il suo bello, non c’entra niente con la moda della bicicletta, della vita salutista, del cardio-fitness… Come sostiene Fabio Genovesi, «le grandi storie del ciclismo sono nate da un’assenza totale di consapevolezza della salute. Il vero ciclismo è sciagurato e fatto di storie tipo quella di Bartali che si allenava con uno zaino pieno di mattoni, così in gara la salita sembrava meno dura. E poi per andare bene in bicicletta non bisogna avere un fisico “giusto”: il busto deve essere rachitico e le gambe grosse e potenti, quindi per definizione l’obiettivo del ciclismo non è la salute fisica, ma l’impiego di tutte le energie in vista di un unico effetto che è tutto risolto sulla bicicletta».
Nella quinta frazione, Vincenzo Nibali è arrivato al traguardo con nove minuti di ritardo dai big. Si prepara alle Olimpiadi? È in crisi per la nuova squadra araba? Ci sono contrasti con il compagno Aru? Quintana ha già lo sguardo cattivo del vincitore? Intanto, Peter Sagan pensa solo alle vittorie di tappa, Alberto Contador è un po’ malconcio e anche Chris Froome non è al massimo.
Dalla condizione fisica e morale di ogni corridore nascono storie, tante storie: pathos e casualità.
Il Tour de France è trasmesso su Raitre, con la telecronaca di Francesco Pancani e Silvio Martinello e con il «Processo» di Alessandra De Stefano e Stefano Garzelli, e su Eurosport in HD con la telecronaca degli ottimi Salvo Aiello e Riccardo Magrini.