Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 08 Venerdì calendario

Theresa May contro Andrea Leadsom, la sfida tra le nuove Thatcher

Alberto Simoni per La Stampa
Quando nel maggio del 1997 Theresa May, nata Brasier il primo ottobre del 1956 a Eastbourne, laurea in Geografia al St. Hugh College di Oxford, esordì a Westminster come deputata, qualcuno fra i banchi dei conservatori sussurrò: «Sembra Maggie». Indossava un vestito blu molto simile a quello che portava Margaret Thatcher nel giorno del suo insediamento nel 1979 a Downing Street. Eppure May, ministro dell’Interno, euroscettica capace però di tenersi lontana dal corpo a corpo sulla Brexit, pur ammirando la Thatcher, non la considera un modello: «Non ho modelli politici» disse due anni fa all’«Independent». Il suo mito è invece un giocatore di cricket, Geoffrey Boycott. La passione per il cricket l’aspirante leader dei Tory la coltiva insieme al marito, Philip May, uomo d’affari, che conobbe durante gli anni del college a Oxford grazie a un’amica comune: Benazir Bhutto, la premier del Pakistan assassinata nel 2007. Si sposarono nel 1980, la coppia non ha figli.
 Altra passione della signora May sono le scarpe. Ne possiede tantissime che ripone con cura in sacchetti trasparenti di plastica. Al Congresso del Partito conservatore del 2002, pieno boom laburista con i Tory ridotti ai margini della politica, Theresa May fece più notizia per le sue scarpe leopardate con tacchi altissimi che per il suo discorso. Qualche anno dopo disse: «Lo sanno tutti che amo le scarpe, i giornali sembra mi classifichino in base a quelle che indosso». 
 Legge Jane Austin («Orgoglio e pregiudizio» il suo libro preferito) ascolta da Mozart («Il Flauto Magico» la sua opera preferita) agli Abba, adora il St. Clements (succo d’arancia con lemonsoda), il trekking sulle Alpi e odia l’e-commerce poiché ama spingere – ha raccontato al «Guardian» – il carrello della spesa fra gli scaffali. Di lei si conoscono pochi aneddoti, persino il suo staff la definisce un po’ «noiosa», ma tutti la riconoscono come infaticabile ed efficiente lavoratrice. 
 A Downing Street ci tiene, ma non lo ammetterà mai. A 12 anni il suo sogno era fare la deputata Tory, a 17 fece la sua prima campagna elettorale. A 60 potrebbe diventare premier di un Paese che ha rigettato l’Europa. Lei vorrebbe chiudere agli immigrati, e brinda al fatto di non aver sul collo le mani della Corte europea di Giustizia. Per qualcuno è un falco, per altri pragmatica. Per quasi tutti la più preparata. Perché somiglia nel suo tailleur blu a Margaret Thatcher. Fra i backbencher Tory semplicemente la migliore.

***

Alessandra Rizzo per La Stampa
Se qualche settimana fa aveste chiesto ai passanti per le strade di Londra chi è Andrea Leadsom ben pochi avrebbero saputo rispondere. Eppure questa novizia della politica, entrata in parlamento sei anni fa dopo una carriera nella City, potrebbe diventare il nuovo primo ministro britannico. Sottosegretario all’energia, convertitasi all’euroscetticismo qualche anno fa, ne è diventata la paladina, facendosi notare quando nella campagna referendaria ha difeso agguerrita le ragioni della Brexit. «Ha un pizzico del piglio di ferro thatcheriano», ha scritto di lei l’Independent, e certo le avrà fatto piacere essere paragonata a uno dei suoi idoli politici. Ma la mancanza di esperienza di governo ad alto livello potrebbe danneggiarla, e negli ultimi giorni si è dovuta difendere dalle accuse di aver aggiustato il curriculum esagerando ruolo e poteri negli anni della City.
Parte sfavorita contro Theresa May, ma si presenta come il candidato del cambiamento contro la continuità. Politicamente più a destra di David Cameron, corteggia il voto tradizionale e ha il sostegno di Boris Johnson e Arron Banks, finanziatore del partito indipendentista Ukip. Contrariamente a tanti colleghi Tory educati in scuole esclusive, Leadsom viene da origine relativamente modeste: nata a Aylesbury, una cittadina del Buckinghamshire, è cresciuta con la madre in una delle casette a schiera tipiche del paesaggio inglese, studiato in una scuola pubblica e preso la laurea in scienze politiche all’Università di Warwick. Ha lavorato nella finanza e nel settore bancario per 25 anni, ma la politica era il suo sogno da quando ne aveva tredici. Lo ha coronato entrando ai Comuni nel 2010 nel collegio del South Northamptonshire, dove, quando non è a Westminster, ama passeggiare.
La sua immagine è giocata su due binari: la manager che conosce i segreti dell’alta finanza e dell’economia, e che cita tra i suoi libri preferiti «La Ricchezza delle Nazioni» di Adam Smith; ma anche la madre di famiglia che cucina il «Sunday roast», il pranzo della domenica, per il marito Ben e i tre figli, ama guardare film («Quattro Matrimoni e un Funerale» è tra i preferiti) e tifare per la locale squadra di rugby. Anglicana praticante, ha fondato un’organizzazione benefica di psicoterapia per aiutare i neogenitori in difficoltà. Sulla Brexit non ha dubbi: comincerebbe le procedure di divorzio dall’Ue il prima possibile. «Sono un’ottimista. Credo davvero che possiamo essere la più grande nazione sulla terra», dice. Ma le servirà più dell’ottimismo per battere Theresa May.