La Gazzetta dello Sport, 7 luglio 2016
Müller vs Griezmann, che Germania-Francia sarà
Pierfrancesco Archetti per La Gazzetta dello Sport
I primi tentativi di rabbuiare la felicità di Thomas Müller presero forma a Madrid, fine aprile. Pep Guardiola ebbe molto coraggio in una semifinale persa di Champions: non nel lasciare in panchina l’insostituibile, bensì nel rivelare al mondo il ruolo del medesimo. «Non volevo partire con due attaccanti centrali». Dalla Selva Nera, dove trascorre le noiose pause tra un torneo e l’altro, Löw alzò la tazzina dell’espresso e si domandò di che Müller parlasse il catalano. Forse di Gerd?
Le convocazioni di Jogi sono spesso curiose: lui, che era un nove e mezzo di seconda divisione o lega svizzera, da c.t. accatastava sotto la voce centrocampisti tutte le sue mezzepunte, fantasisti, attaccanti esterni e falsi nove. Tutti, almeno mezza dozzina, da Özil e Müller. Poi arrivavano gli attaccanti: Klose. Uno. Stavolta però Miro lo ha messo nei guai, annunciando il ritiro dopo Rio, a 24 mesi dall’Europeo. Il Bundestrainer ha avuto poco tempo per riflettere, ma ha trovato la soluzione: voce unica centrocampo/attacco, con 16 giocatori. Il 17 maggio, quando annunciò la rosa allargata, la scansione e i comunicati ufficiali dividevano proprio così il gruppo. Portieri. Difensori. Centrocampo/Attacco. Tutti possono far tutto, da metà campo in avanti. E che Mario Gomez non avesse crisi d’identità.
Thomas Müller sarà stasera probabilmente l’attaccante centrale della Germania alla sesta semifinale consecutiva. E anche se non sarà sempre in mezzo all’area, ci passerà spesso, correndo da destra a sinistra. «Me lo sento, quando servirà un gol, segnerà» ha detto Löw. Perché Müller, 37 centri in stagione, continua con lo stesso score all’Europeo: zero reti, 2012 compreso. Sembrava un dettaglio, è stata venduta poi per maledizione, adesso più che altro è una barzelletta. Il numero 13, quello di Gerd, non l’ha infilata nemmeno su rigore, contro l’Italia. «I gol non sono la mia benzina, soltanto la carrozzeria lucente della mia vettura. Il mio carburante è il successo», ha detto prima di lasciare Evian. Accanto a lui Oliver Bierhoff recitava: «Ho cercato nel vocabolario la voce rilassatezza, è uscita la faccia di Thomas».
La faccia di Thomas è quella che ha voluto irridere un urletto di Chiellini, a Bordeaux, oppure quella che puntava verso il basso nella semifinale di ritorno di Champions contro l’Atletico. Anche quella volta non aveva infilato un rigore, molto più pesante di quello contro Buffon. Sarebbe stato il 2-0 per il Bayern, invece poi Antoine Griezmann pareggiò e tutto l’urto bavarese non bastò per la qualificazione. «Raramente ho vissuto una serata del genere, il calcio è ingiusto» disse Müller, profondamente serio. Oggi rivede Griezmann, può riprendersi l’allegria.
Hans-Dieter Hermann, lo psicologo della nazionale tedesca, è molto sollecitato in questi giorni; prima il trauma Italia, poi il post trauma (troppa gioia?), e ancora quella noia continua con Müller: ma come si sbloccherà? «Non ho bisogno dello psicologo, qualcosa succederà» dice e ripensa al tacco di Florenzi. Ma per aiutarlo a Monaco è stato attivato anche Arjen Robben, quello che voleva strozzarlo in campo a Brema e gli strinse le mani sul collo. L’olandese ha mandato un video messaggio: «Io credo sempre in te, vedrai che ce la farai». È in olandese e Müller non capirà, però se scomodano Robben significa che la situazione è grave.
Fabio Bianchi per La Gazzetta dello Sport
A questo punto della storia bisogna cominciare per forza dalle lacrime. È la storia della disperazione di un ragazzo davanti al sogno che s’infrange, di una ripartenza fulminante, di un gol che fece venire le lacrime agli altri questa volta e del prossimo capitolo che non si sa come andrà a finire. È la storia di Antoine Griezmann e i tedeschi. E il capitolo si scrive questa notte: chi piangerà? Eccola di nuovo, la Germania, che gli fa ciao. Ma è un ciao pieno di rispetto e, anche, timore. Niente a che vedere con l’arroganza del mondiale brasiliano: i tedeschi passarono sopra anche alla Francia prima di installarsi sul trono del mondo. A niente poterono gli abbracci dei compagni: Antoine fu inconsolabile. Ma la storia avanza, non la ferma nessuno, cambia direzione, per qualcuno sale, per altri scende. Per Antoine la storia è un’impennata. Sono passati due anni da quella pioggia sul viso: Griezmann è sbocciato del tutto all’Atletico: un crescendo di talento, di gol e di successi. Si può ben parlare di storia quando vinci una Supercoppa coi colchoneros. E poi finisci a giocarti una finale di Champions. Questo è l’altro capitolo tedesco. Il suo gol eliminò in semifinale il Bayern Monaco, se vogliamo una sorta di nazionale tedesca.
Adesso Antoine piccolo principe aspetta il prossimo capitolo con un indiscusso ruolo da protagonista. È indubbiamente una delle poche stelle annunciate ad aver mantenuto del tutto le promesse. È il capocannoniere dell’Europeo con 4 reti, ognuno dedicato alla figlia Mia nata a Madrid agli inizi di aprile. Il pallonetto ricamato ai quarti con l’Islanda è un omaggio alla bellezza del calcio. Griezmann è entrato in altre reti della Francia, con due assist. Da quando Deschamps si è convinto che la posizione migliore per lui sia dietro a Giroud, libero di muoversi, inventare e inserirsi, Griezmann ha preso per mano la Francia e non l’ha lasciata più. Uomo decisivo anche per le statistiche: quando segna lui, la Francia non perde. Nelle ultime 8 gare in gol, due vittorie e sei pareggi. Joachim Löw ha solo parole di ammirazione per il piccolo principe: «Ha una tecnica formidabile, ed è molto bravo anche a segnare di testa nonostante l’altezza. È pericolosissimo e fondamentale per la sua squadra». Philipp Lahm se lo trovò di fronte in Brasile: «Già allora notai che aveva un gran talento. Da quando è sotto la guida di Simeone è cresciuto tantissimo e ora è uno dei più forti attaccanti in circolazione».
In Francia, ovvio, è scoppiata la Griezmann-mania. Non c’è agente pubblicitario che non lo voglia come testimonial, non c’è donna single che non lo sposerebbe. I giornali lo esaltano un giorno sì e l’altro anche. Nell’immaginario collettivo, lui e Pogba erano partiti alla pari. Lo juventino ha perso parecchi punti nei suoi confronti. E mentre Paul resta nell’ombra del piccolo principe, France Football e altri siti sportivi si chiedono chi ha più chance per il Pallone d’Oro se vince l’Europeo: Bale, Kroos, Ronaldo o Griezmann. Accostamenti impensabili, fino a poco tempo fa. Ma adesso Griezmann, a 25 anni, ha l’opportunità di vincere un titolo condito dal trono del gol. A proposito di storia, sarebbe il terzo francese a riuscirci, dopo Platini nel 1984 e Heutte nel 1960. Nonostante i due anni fenomenali all’Atletico e tutto questo polverone attorno a lui, i compagni raccontano che Antoine è rimasto lo stesso ragazzo determinato ma umile che pianse davanti ai tedeschi. Di diverso c’è il mate che porta sempre in giro, che beve all’uscita dagli spogliatoi dopo una partita, abitudine presa dal suo tecnico argentino. Di diverso c’è lo sguardo e la consapevolezza di sé. E della Francia: «Con l’Islanda abbiamo giocato molto bene e raggiunto l’obiettivo semifinale. Ora ci aspettano i campioni del mondo, sarà una gara difficilissima. Ma siamo pronti, giochiamo in casa, daremo tutto. E se vinciamo, potremo voltare la pagina del 2014». E scordare le lacrime.