Libero, 7 luglio 2016
Gli stipendi più alti negli Usa sono degli asiatici
Bianchi? neri? ispanici? Nessuno di loro: chi guadagna di più negli Stati Uniti sono i gialli. O meglio, gli asiatici, dal momento che nel segmento asian american, il 4,8% della popolazione che diventa il 5,6% se considerate anche le persone di ascendenza mista, i censimenti Usa non considerano solo oriundi cinesi, giapponesi, taiwanesi, filippini, coreani, cambogiani, ma anche gente dalla lingua indo-europea e dalla pelle più o meno bianca come indiani e pakistani. Il calcolo l’ha fatto un rapporto del Pew, il noto centro di ricerca di Washington.
Il dato più inatteso, anche se fino a un certo punto, viene invece quando all’interno di queste categorie si separano le persone con istruzione universitaria. Ovviamente, guadagnano tutti di più. Ma il distacco di tre dollari all’ora tra asiatici e bianchi si conferma al millimetro: 35 contro 32. L’ispanico laureato, però, balza al terzo posto, con 26 dollari all’ora. E qui è un clamoroso quasi raddoppio, di proporzioni ben maggiori rispetto all’aumento della prime due categorie. Una proporzione un po’ più alta di bianchi e asiatici l’hanno anche i neri, ma ciò non impedisce loro di precipitare al quarto posto: con 25 dollari l’ora, un nero laureato guadagna appena un dollaro in più di media di un asiatico senza laurea. Facendo qualche somma, si ottiene che prendendo una laurea un asiatico incrementa le sue entrate del 45,8%, un bianco del 52,3%, un ispanico addirittura dell’85,7%, e un nero del 66,6%. Va pure ricordato che col loro 4,8% o 5,6% gli asiatici rappresentano il 22% degli studenti di Harvard, e il 27% di quelli del Mit di Boston. E che il 49% degli asiatici è laureato, contro il 28% della media Usa.
Cosa possiamo ricavare da questi numeri? Primo: si conferma quell’impressione di declassamento che dicono di avvertire i ceti bianchi tradizionali, sia gli operai blue collars che i ceti medi white collars. E si conferma che per loro la minaccia viene dall’Asia: sia come concorrenza internazionale, sia come concorrenza interna. Nel primo caso, si dà la colpa al dumping. Nel secondo caso, si accusano gli asiatici di essere abituati a inumani ritmi di lavoro e studio che i bianchi non potrebbero reggere. Ovviamente, si tratta di un tipo di narrativa che può venire contestato e confutato in molti modi. Ma è una narrativa che comunque c’è, e che spiega i grandi successi elettorali che Donald Trump ha mietuto alle primarie.
Secondo: la marcata divaricazione all’interno degli ispanici a seconda del loro livello di studio dimostra quanto questa categoria sia eterogenea, dal momento che tiene assieme tanto i bianchi cubano-americani da tempo inseriti nell’élite nazionale, come quei Marco Rubio e Ted Cruz che sono stati i grandi sfidanti di Trump; sia quei clandestini messicani e centro-americani di marcato dna indio e meticcio, contro cui lo stesso Trump chiede espulsioni di massa e barriere al confine.
Terzo: sia per gli ispanici che per i neri un titolo di studio superiore rappresenta comunque una chiave di miglioramento proporzionalmente maggiore che per asiatici e bianchi. Ma nel fatto che un nero poco istruito guadagni di più di un ispanico di pari livello, mentre un nero con laurea prenda meno di un ispanico di simile istruzione accademica, c’entra in modo pesante il sistema della affirmative action. Anche molti neri ritengono ormai che il sistema di riservare loro una quota di matricole universitarie e posti pubblici serve molto di più a sanare certi atavici sensi di colpa dei bianchi che non a far decollare definitivamente la loro gente. Dopo 8 anni di presidenza Obama, gli studi del Pew mostrano che il favoritismo serve solo a produrre un ceto di laureati neri meno preparati e competitivi dei loro colleghi di altri segmenti razziali.