Libero, 7 luglio 2016
Fuori dall’euro si sta meglio. Basta guardare i conti della Banca Mondiale
Ormai è una polifonia: l’uscita del Regno Unito dall’Europa (l’euro i britannici non lo hanno mai voluto), rallenterà ulteriormente la crescita – già modesta – del Vecchio Continente. Crescita modesta, a tratti asfittica (come in Italia), che rischia di mandare in soffitta tutti i sogni di ripresa e recupero. Per tornare ai livelli precrisi gli statistici ipotizzano decenni. Ma c’è anche chi si lancia in un ben poco augurante: “Nulla sarà più come prima”.
Previsioni da sfera magica a parte, c’è da chiedersi come se la siano passata, e come se la stiano passando, quelli che l’euro non lo hanno voluto: o per scelta o per antiche idiosincrasie valutarie. E poi non c’è solo l’Europa dell’euro con cui fare un confronto.
C’è tutto un mondo oltre i bastioni fissati da Bruxelles. E un mondo che cresce a ritmi buoni o eccellenti, come provano l’ottimo andamento dell’export (che per l’Italia rappresenta, e ha rappresentato, la vera ciambella di salvataggio per aziende e bilancia commerciale). Lontano dall’Europa – mentre noi ci turbiamo per uno zerovirgola – c’è tutto un mondo che cresce: dagli Stati Uniti all’Asia, da Israele al Canada.
Basta andare a vedere i dati relativi al Pil dei Paesi che non hanno l’euro (perché non lo hanno adottato o perché hanno altra valuta), per rendersi conto che la crisi insiste come la fantozziana nuvola della sfortuna.
Alle porte d’Europa (un po’ dentro e un po’ fuori), c’è giusto la Svezia che è forse il “laboratorio economico” di come si possa stare dentro l’Europa senza Schengen (la libera circolazione è stata “sospesa” a gennaio scorso), e senza adottarne la valuta (continua a battere la Krona, corona).
Gli svedesi sono forse un filino più pragmatici degli inglesi. Dopo il referendum inglese ora il partito antieuro sta crescendo. Al 36% degli svedesi piacerebbe seguire l’esempio dei britannici, mentre rimarrebbe contrario il 32%. Nell’incertezza si tengono stretti la buon vecchia corona e continuano a gestire come preferiscono la propria politica monetaria: giusto ieri pomeriggio la banca centrale svedese – la Riksbank – «ha deciso di confermare il repo rate (tasso d’interesse a cui prewsta il denaro alle banche, ndr), a -0,5%, in linea con le attese del mercato». Significativo il comunicato: l’istituto centrale scandinavo rimarca come la politica «monetaria fortemente espansiva è necessaria per fornire sostegno continuo per l’economia svedese e l’aumento dell’inflazione». Insomma, Stoccolma non ci pensa minimamente a delegare alla Bce. Visto che agendo su queste leve può fare la differenza (aiutare la competitività, incoraggiare il costo della vita).
A scorrere i dati dell’Ocse, della Banca mondiale, e pure dell’Unione europea, salta fuori che tra il 1995 e il 2015 (World Bank Report rilanciati dal sito termometropolitico.it), i Paesi che sono cresciuti maggiormente sono proprio quelli senza l’euro. E la Svezia (crescita del Pil nel ventennio: 41,7%), mette a segno un record secondo solo a quello dall’Australia (42,5%), e sfiorato da Israele (38,3%).
Se non dovessero piacere le statistiche della Banca Mondiale perché troppo vicina a Washington, ci si può sempre affidare agli esperti di Bruxelles. Proprio la Commissione Ue ha pubblicato, a febbraio, le previsioni di crescita per la Zona euro (2015/2017). Ma non solo. Ci sono pure le altre economie mondiali. Gli Stati Uniti – archiviata la crisi del 2008 – sembrano galoppare. Se nel 2015 il Pil Usa è cresciuto del 2,5%, nel 2016 dovrebbe balzare al 2,7%, per assestarsi al 2,6% nel 2017 (proiezioni Ue). Se si vuole allargare il raggio di analisi basta constatare che dal 2008 ad oggi il Canada ha messo a segno una crescita del 12% e gli Stati Uniti del 10%. Persino il Giappone è riuscito a vedere la crescita (+5%). L’Europa è timidamente cresciuta, mentre noi siamo andati addirittura peggio. Oggi se in Europa c’è chi si dibatte tra una crescita media dell’1,9% (dati ante-Brexit), Roma può solo sperare di restare intorno a 0,8/1,3%. Negli ultimi 20 anni il Belpaese è stato quello che è cresciuto meno (l’1,8%). Persino Grecia (13,5%), e Portogallo (19,1%), hanno fatto meglio. Per non parlare di Germania (28,7%), Francia (20,7%) e Spagna (23,9%).