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 2016  luglio 07 Giovedì calendario

Vita da punkabbestia sul Tevere

All’ombra di ponte Mazzini si respira fiume e polvere. Una ragazza cammina a piedi nudi sulla banchina in cerca di un soffio daria, gli amici dormono o se ne stanno sdraiati lasciando scorrere questo altro giorno. Si avvicina all’acqua, scende i gradini fino a sfiorarla e si abbassa i pantaloni. Si vive così dieci metri sotto l’asfalto, il Tevere è tutto quel che hanno e che gli serve: è il letto, il bagno, la casa, la compagnia delle notti di alcol, un modo d’essere. «Abbiamo scelto la libertà totale», un ragazzo in calzoncini e petto nudo si appoggia a una stampella. Un giorno qui, e poi ti viene in mente di andare a Firenze e parti, poi torni e trovi gli altri sempre lì, sotto il ponte. Sei cani e qualche ciotola d’alluminio, zaini a terra, stracci aggrovigliati per fare da cuscino, nemmeno un materassino qui basta un sacco a pelo. «Poi la sera si fanno le grigliate, chi mette un euro, chi due. Si mette quello che si ha», soldi raccolti agli angoli delle strade. C’è un bidone d’acqua e deve bastare per tutti, saranno almeno quindici questi vagabondi metropolitani accampati lungo il fiume davanti al carcere di Regina Coeli. Punkabbestia, li chiamano così, ma di quello che pensa e dice il mondo che sta su a loro non importa. Un altro ragazzo con i pantaloni a righe si sveglia e ancora intorpidito si avvicina all’acqua per fare la pipì.
LA BARACCOPOLI
È un via vai di fantasmi lungo le sponde del Tevere. Scendono attraverso la pista ciclabile – da ponte Milvio in poi – trascinando sacche, valigie e borse della spesa e spariscono tra la vegetazione che va giù ripida. Chi vive qui si nasconde sotto le arcate dei ponti e tra gli alberi, ombre tra le ombre. Ci sono villaggi invisibili protetti dalle canne, baraccopoli. C’è una città che si nasconde sotto la città e vive in simbiosi con il fiume. Una canoa rallenta passando sotto ponte Risorgimento, il gruppo di vogatori si mette a scattare foto. Sotto l’arco, dalla parte di piazzale delle Belle Arti c’è un appartamento senza pareti. Due letti matrimoniali, uno accanto all’altro, non materassi poggiati a terra ma letti veri e propri. Un uomo e una donna stanno sonnecchiando. Una canna da pesca lì accanto, ci sono due camere fatte di cartone e accanto un frigorifero. Anche qui trolley sulla terra umida, bidoni pieni d’acqua, una tendina che nasconde non si sa cosa.
IL CANNETO
La sponda opposta sembra disabitata, c’è il barcone di un circolo sportivo, lungo i gradini bottiglie di birra rotte. La vegetazione è fitta. Ma basta avvicinarsi e guardare tra le canne per scorgere un tetto di plastica a fiori. E poi un altro, un altro e un altro ancora. A due passi dalle auto del lungotevere e dalla rai, sorge un accampamento. Quattro capanne che nessuno può vedere, chi passeggia sotto i platani, chi va in bicicletta. Ci vivranno una ventina di persone, qualche romeno che urla minaccioso «via, via! Andatevene via». Una donna nordafricana con le treccine stende i panni, un uomo dorme su un tappetino di plastica, tra gli alberi un passeggino abbandonato. Chi ha tirato su le baracche di plastica ha scelto un angolo protetto e apparentemente inaccessibile.
Ha un tetto di lamiera la casupola lungo il Tevere a due passi dall’Ara Pacis, sotto ponte Cavour. E sotto il pilone di via Duca D’Aosta un altro accampamento, tanti materassi addossati al muro che qualcuno tirerà fuori la notte, qui si era stabilito un gruppo di egiziani. Sul marmo i resti di una candela accesa. Qui si dorme con i piedi verso il fiume e si vive protetti dall’acqua. Tante volte li hanno mandati via, gli inquilini del Tevere, giù le baracche, sgomberati gli insediamenti. Ma poi quelli tornano, ed è una guerra senza fine.