La Stampa, 7 luglio 2016
Un algoritmo svelerà le nostre bugie
Un algoritmo ci inchioderà alle nostre bugie. Lo hanno sviluppato due università, una inglese e l’altra americana, per smascherare chi mente in base a come scrive i messaggi digitali. Le parole che usiamo, e il modo in cui strutturiamo le frasi, consentono infatti ai computer di capire chi non sta dicendo la verità.
All’origine di questi studi c’era la necessità pratica di difendersi dai crimini digitali. I furti d’identità, gli attacchi degli hacker, le tecniche per violare i sistemi come il phishing, si basano in larga parte sull’abilità di ingannare e raggirare gli interlocutori.
La capacità degli esseri umani di riconoscere le bugie è limitata, secondo alcuni studi al 54% dei casi, e quindi è sorta la necessità di trovare una soluzione più efficace, affidandola alle macchine. Così la City University di Londra ha sviluppato un algoritmo che riconosce chi mente. Lo fa analizzando i messaggi digitali, per individuare comportamenti che rivelano una mancanza di sincerità. Ad esempio, quando un interlocutore non usa la prima persona o i pronomi, e invece abbonda con gli aggettivi tipo «brillante» o «sublime», probabilmente non sta dicendo la verità. Con questo linguaggio, infatti, cerca di distanziarsi dalla responsabilità diretta della menzogna che in realtà sa di raccontare. Stesso discorso quando nel testo compaiono troppi «forse» o «probabilmente», o anche forme tipo «mi rincresce molto dirti» e «per essere davvero onesto».
Questi sono solo alcuni esempi dei criteri utilizzati dagli studiosi per sviluppare il loro algoritmo, che analizza i testi per scoprire parole, frasi o forme di espressione, ritenute campanelli d’allarme della bugia. In questo modo, la capacità dei computer di individuare le menzogne è salita al 70%.
Nello stesso tempo, grosso modo con i medesimi fini, la University of Michigan ha creato uno strumento simile, basato invece sui video ripresi nei tribunali durante i processi. Così ha sviluppato un algoritmo capace di identificare le persone che dicevano la verità nel 75% dei casi. L’obiettivo naturalmente è difendersi dai crimini digitali, ma è ovvio immaginare gli effetti che questi strumenti avranno sulle nostre vite private: le bugie smetteranno anche di avere le gambe corte.