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 2016  luglio 07 Giovedì calendario

Storia di Emmanuel, scappato da Boko Haram, passato per la Libia e ucciso da un razzista di paese

Massimo Gramellini per La Stampa
Non riesco a trovarci un senso, Emmanuel. Nasci in Nigeria, trentasei anni fa. Ti sposi e metti su famiglia, finché un giorno i feroci saladini della macelleria islamista di Boko Haram (significa «vietato leggere», bel programma davvero) fanno saltare per aria la chiesa con dentro tuo figlio, i tuoi genitori e i tuoi suoceri. Vendi tutto ciò che possiedi e scappi in Libia, dove un trafficante di esseri umani malmena tua moglie facendole perdere il secondo figlio che ha in grembo. Riuscite a salire su un gommone e a scampare alla traversata. Risalite l’Italia dalla Sicilia alle Marche per scorgere uno sprazzo di luce: l’arcivescovado di Fermo vi accoglie in seminario, aiutandovi a presentare domanda di asilo. Nei tuoi pensieri si riaffaccia la speranza di qualcosa che sia degno di chiamarsi futuro: un lavoro, una casa, magari un altro figlio per lenire quel dolore che non se ne va.
Due giorni fa, martedì, stai camminando per la strada con la tua donna quando un ultrà della squadra di calcio locale ti urla addosso che hai sposato una scimmia africana. Tu difendi tua moglie, lui insiste, venite alle mani, un palo della segnaletica stradale viene divelto (ancora non è chiaro da chi) e usato come arma. La tua breve vita finisce sul selciato, sotto una gragnuola di pugni e di calci. Non ci capisco più niente, Emmanuel. Sei sopravvissuto ai terroristi, agli scafisti e a un mare in tempesta per farti dare la morte da un razzista di paese.

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Nicola Catenaro per il Corriere della Sera
Erano stati forti Chimiary ed Emmanuel. La loro storia d’amore era iniziata in Nigeria e sopravvissuta a mille dolori, anche fisici. Alla figlioletta uccisa dagli integralisti di Boko Haram, alla fuga attraverso il deserto, a una traversata dalla Libia verso l’Italia segnata da un aborto. Erano stati più forti di tutto e sorridevano quasi increduli il giorno di quel loro matrimonio celebrato in Italia, anche se solo informalmente «perché non avevano tutti i documenti necessari» ricorda don Vinicio Albanesi. Lo scorso 6 gennaio fu proprio il fondatore della comunità di Capodarco – nella doppia veste di parroco e di presidente della Fondazione che gestisce la struttura di accoglienza dov’erano ospitati – a officiare il rito. Liturgia cristiana, sì, ma priva di effetti civili. Senza documenti non si può. Ma a loro andava bene anche così.
La chiesa di San Marco alle Paludi li accolse e il loro cuore scoppiava di felicità. Non credevano di poter coronare il loro sogno così in fretta, lontano dalla disperazione e dai tormenti. «Dovevano sposarsi nel loro Paese, tra la loro gente – racconta don Vinicio – poi le persecuzioni e gli attacchi dei terroristi di Boko Haram li hanno costretti alla fuga». Chimiary ed Emmanuel perdono i propri cari, la loro casa viene colpita dalle bombe e di colpo non esiste più. L’assalto a una delle chiese cristiane del posto e la conseguente esplosione uccidono anche i genitori della coppia. La fuga verso un altro mondo, verso una nuova vita, è l’unica chanche. Anche perché lei è incinta e il solo pensiero che il figlio possa nascere tra le bombe e la distruzione convince entrambi a lasciare la Nigeria.
«Mancavano appena due settimane alle nozze quando Chimiary ed Emmanuel decisero di mettersi in viaggio, come tanti altri loro connazionali» continua don Vinicio. E poi è una storia nota, di peregrinazioni e difficoltà, lungo la rotta che attraversa il Niger e la Libia, tra deserto e mare, fino al Mediterraneo e oltre, pericoli dovunque soprattutto fra i trafficanti di uomini. Chimiary ha perso il proprio bambino dopo essere stata picchiata da uno di questi aguzzini in uno di quei posti infernali dove i migranti attendono di salire sui barconi. Il bambino che ha in grembo muore durante il viaggio, mentre le coste dell’Italia si avvicinano.
I due giovani innamorati riescono ad arrivare fino alla Sicilia, e da lì vengono trasferiti nelle Marche, a Fermo, nella struttura di accoglienza gestita dalla Fondazione Caritas in Veritate.
La pace che si respira qui non è paragonabile a nulla di ciò che hanno vissuto fino ad allora. La promessa di matrimonio la fanno nel seminario arcivescovile (dove ieri si è svolta una veglia funebre) e sempre da qui le Piccole Sorelle Jesus Caritas e i volontari di Croce Rossa li accompagnano fino in chiesa. «Lo scambio degli anelli ha consacrato un legame che è stato capace di resistere alle bombe e di sfuggire mille volte a un destino avverso» dicevano i volontari della Croce rossa. E piangevano.
Chimiary ed Emmanuel desideravano una vita normale. Hanno ritrovato la barbarie.