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 2016  luglio 07 Giovedì calendario

Valentini & Giacomoni, il ritorno del vecchio tandem di Silvio

«Papà, ma non ti rendi conto che Valentino qui ad Arcore lo vediamo sempre meno?», faceva notare qualcuno dei figli a Silvio Berlusconi un anno fa, nel bel mezzo dell’«esilio gentile» a cui il cerchio magico aveva costretto tanto Valentini, che comunque rimaneva uno dei pochissimi invitati fissi al «pranzo del lunedì», tanto Sestino Giacomoni, altro uomo-ovunque della ventennale macchina da guerra politica berlusconiana. «Sì, è vero, chiamatemi un attimo Valentino ché gli devo parlare», rispondeva con una scrollata di spalle l’ex premier. Ed eccolo, Valentino Valentini, che arrivava. Nel bel mezzo di una crisi di nervi estiva a Villa Certosa, dove si scapicollava abbandonando la famiglia che stava al mare in Toscana. O in freddi momenti dell’inverno in cui si rendeva necessario un semplice contatto con «l’amico Putin» o l’organizzazione di una trasferta moscovita.
Acqua passata. Con la riorganizzazione voluta e pretesa dal consiglio di famiglia (i figli, Letta, Confalonieri, Ghedini) che ha preso le redini di Forza Italia durante la degenza di Berlusconi al San Raffaele, tutto ritorna magicamente com’era ai bei tempi di Forza Italia al governo. Il tandem degli «Inos», come qualcuno li chiama giocando sulla rima baciata di Valentino e Sestino, torna nella sala dei bottoni. Valentini, con i galloni di generale, ad Arcore. Giacomoni di stanza a Palazzo Grazioli.
«Sono grandi amici. E, soprattutto, rappresentano gli esempi migliori della meritocrazia berlusconiana», sottolinea chi li conosce bene entrambi. E chissà se a entrambi, nei giorni in cui Berlusconi stava chiuso al San Raffaele, sono tornati in mente i vecchi tempi degli esordi nel berlusconismo militante. A dispetto della leggenda che voleva i migliori allievi del vecchio master di Publitalia destinati all’azienda (e non al partito), un giorno di tanti anni fa l’ex premier chiamò il fidato Niccolò Querci. «Mi serve un assistente. Voglio il migliore del master». Si era presentato così Valentini, a oggi l’unico (l’altra eccezione, ma la categoria è diversa, è Giuliano Ferrara) stretto collaboratore a cui Berlusconi abbia consentito di continuare a portare la barba.
Il primo incontro segna l’amore a prima vista. «E dimmi, Valentino, hai una fidanzata?», chiede Berlusconi. «Sì, certo», risponde Valentini. E l’ex premier, di rimando. «Telefonale. Dille che da oggi ne hai due. L’altra sarò io». Inizia così l’avventura del «ministro degli Esteri personale di Berlusconi», amico della Russia ma talmente importante da guadagnarsi il rispetto degli americani. Quello di George Bush junior, che dopo un vertice fece fermare la limousine solo per salutarlo. E quello, di tutt’altro segno, dell’ex ambasciatore americano Ronald Spogli, che in un memo lo descrisse come «un deputato che opera in maniera poco chiara come uomo chiave di Berlusconi per tutto ciò che riguarda la Russia» (la replica di Valentini, affidata alla penna di Alan Friedman e al suo libro My way, è che «quel memo è completamente assurdo»).
Simile la storia di Giacomoni, che nasce giovane consigliere comunale a Mentana (Roma), cresce nel Centro studi di Forza Italia fondato da Paolo Del Debbio e matura definitivamente come braccio destro di Antonio Marzano al ministero delle Attività produttive. «Torno al mio lavoro», disse un giorno a Berlusconi. «No, tu resti qua», gli rispose il premier, affidandogli la segreteria tecnica di Palazzo Chigi nel 2005. Simpatici oltre la media in privato, ma entrambi allergici alle chiacchierate con i giornalisti, ora Valentini e Giacomoni sono chiamati a disegnare il ritorno sulla scena del «Capo». Lasciandosi dietro le spalle quell’«esilio gentile» che forse tanto gentile non era. Forse.