Corriere della Sera, 7 luglio 2016
Che aria tira a Siena, città sotto assedio
L’attico riservato al presidente del Monte dei Paschi, Massimo Tononi, tre stupende finestre ad arco affacciate sulla Piazza del Campo appena pulita dal tufo del Palio, è vuoto anche in questi giorni. Il banchiere cresciuto in Goldman Sachs, a Siena si è visto sempre poco. In queste settimane surreali, in cui il titolo in Borsa della banca è sprofondato, la sua assenza in città in fondo non stupisce più di tanto. Non ci sono più neanche i soci della banca, fondata nel 1472 che fu orgoglio e manna dei senesi. Il valore delle azioni è sceso del 70% nell’ultimo anno, del 50% nell’ultimo mese. Quotava 9,90 euro due anni fa e ieri è arrivato a 0,28 euro, dopo un recupero del 6% favorito dallo stop alle vendite allo scoperto imposto dalla Consob. Nel Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi siedono esponenti rappresentanti di fondi che hanno già fatto le valigie e da tempo sono usciti dal capitale. Il Tesoro pure sembra essersi sfilato. Pochi giorni fa, quando ormai già si parlava di un possibile intervento pubblico, poteva aumentare la sua quota nel Monte, un 4% che lo vede già tra i primi azionisti, convertendo in titoli gli ultimi interessi sui «Monti bond», ma ha preferito 50 milioni liquidi, che la banca ha dovuto sborsare. Da giorni, dopo la lettera della Bce che invitava a fare una pulizia più profonda nel bilancio, si parla di un intervento pubblico di sostegno.
Il sindaco continua a lanciare richieste di aiuto a Roma, ma nulla si muove. Il Monte dei Paschi senza padroni, una delle poche banche italiane a rilevanza “sistemica” europea, sembra sia ormai la banca di nessuno.
«Ogni tensione è utile, ogni disaccordo può essere utile» dice Roberto Barzanti, sindaco di Siena dal 1979 all’84, poi Europarlamentare del Pd fino al ‘99, uno che ha vissuto in prima persona le battaglie furibonde che hanno portato il Monte dei Paschi a sganciarsi dalla Fondazione che per secoli, attraverso il controllo del pacchetto di maggioranza, ha infuso nell’azienda bancaria il peso della politica locale, il vero padrone del Monte fino a pochi anni fa. «Ma questo mancato coagulo di volontà intorno alle sorti della banca è mortificante per i senesi, per chi ha amministrato questa città. Sono giorni tristi. Non si vede una soluzione all’orizzonte, siamo tutti preoccupati per questa incertezza. Nessuno può ignorare il problema del Monte dei Paschi. Renzi sa che non può farlo» dice Barzanti.
La banca, Siena, sono un feudo storico della sinistra, che oggi ne parla quasi distrattamente. Il sindaco della città Bruno Valentini, Pd renziano, due giorni fa ha chiesto pubblicamente al governo di intervenire per salvare la banca, dentro o fuori le regole europee, rompendo ogni indugio. «Viviamo una sensazione di abbandono, lasciati al nostro ineluttabile destino. Io è da un anno, e sono stato insistente nell’ultimo mese e mezzo, che dico a Roma che la situazione del Monte è complicata, pericolosa. La gestione ordinaria è tornata in attivo, l’amministratore delegato Fabrizio Viola sta facendo il possibile, i manager si sono pure tagliati lo stipendio, si accantonano utili. Ma le sofferenze, buona parte ricevute in dote dall’Antonveneta nel momento del disgraziato acquisto, pesano troppo. Si sapeva, tutti lo sapevano. Anche che c’erano dei possibili rischi per i nuovi stress test di fine luglio. Poi però è uscita quella lettera della Bce in cui si chiede al Monte di ridurre di altri 10 miliardi le sofferenze. Una cosa da irresponsabili, è precipitato tutto. Questo modo di comunicare delle autorità di vigilanza è al limite del lecito» dice il sindaco.
A Rocca Salimbeni, sede della banca, c’è la consegna del silenzio. Oggi c’è una riunione del Consiglio di amministrazione per impostare una risposta da fornire alle richieste della Bce, ma non ci saranno comunicati, né dichiarazioni. Oltre l’ufficialità, si vive anche qui un clima un po’ surreale.
I manager non hanno più un socio, un gruppo di azionisti, qualcuno cui rendere conto, se non le autorità di vigilanza. Non c’è una strategia per il futuro. Il Tesoro è il secondo azionista e, dopo aver fornito due volte l’appoggio pubblico sottoscrivendo titoli speciali che hanno contribuito a rafforzare il capitale, prima i Tremonti, poi i Monti bond, è rientrato e chiuso la partita. Guadagnandoci pure un sacco di soldi. Quello che Viola ripete in questi giorni a chi lo interroga sulle sorti dell’istituto la dice lunga sulla situazione. «La somma che il Monte ha pagato al Tesoro per gli interessi sui bond è esattamente quella che ci servirebbe adesso per pulire il bilancio una volta per tutte». Tre miliardi di euro per compensare la dismissione di tutte le sofferenze, i crediti più difficili da recuperare, 18 miliardi, ai prezzi attuali di mercato, molto scontati.
La Fondazione Mps ormai ha solo l’1,5% del capitale, e ha in pancia 500 milioni che nessuno oggi si sogna di reinvestire nella banca. Ai 25 milioni l’anno che dava al Comune per le spese correnti, grazie ai dividendi del Monte, Siena ha già rinunciato, come alla banca, alla squadra in serie A nel calcio e nella pallacanestro.