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 2016  luglio 06 Mercoledì calendario

Gli azzurri? Dalla disperazione sul campo di Bordeaux allo champagne sotto il sole di Formentera. Tutto in meno di 48 ore perché a vent’anni ci si consola in fretta

Nuotare nelle lacrime?
Ma non è meglio nuotare in piscina? E così, cari eroi azzurri, voi che sembravate sul bordo della disperazione, ora siete indubitabilmente sul bordo della vasca. Pronti a tuffarvi con insospettabile felicità. Il pianto s’è asciugato in fretta, a giudicare dalle foto che postate sui social generosi come sempre: smorfie, sorrisi, bibitoni giganti e spensieratezza. Ma non eravate depressi? Non eravate sconsolati? Non eravate devastati? Non ci avevate raccontato di una delusione «impossibile da cancellare»? Vi guardo con gli occhi ancor pieni di ammirazione, cercando sul vostro Instagram la traccia di un singhiozzo, il rimasuglio di un rimpianto, l’ombra di un pensiero per quei rigori sbagliati che sembravano avervi distrutti per sempre. E invece non li trovo. Così più osservo queste foto e più mi assale un dubbio: ma non è che sabato sera, per caso, abbiamo vinto noi? Zaza ha concluso il balletto con un formidabile gol? Pellè ha fatto davvero il cucchiaio a Neuer? Siamo campioni d’Europa? Così si direbbe a vedervi sprizzare euforia da tutti i social… Scusate se mi permetto, cari eroi azzurri, ma io alla vostra favola ci avevo creduto davvero. Mi sembrava il racconto sportivo perfetto, anche nel suo drammatico epilogo finale. La squadra sfigata che sorprende tutti, il gruppo che supera i suoi limiti e gli ostacoli, i brutti anatroccoli che sfidano i campioni del mondo, e mettono loro paura. La cavalcata della grinta e della determinazione, l’orgoglio del gruppo umile che arriva a sfiorare l’impresa e poi casca sul più bello, si arrende alla sfortuna e forse a un po’ di presunzione, inciampa sul penalty come Dorando Pietri inciampò negli ultimi cento metri della maratona, l’epica vittoria che sfiorisce in un attimo, dopo essere stata lì a portata di mano.
E a quel punto chi di noi non s’è fatto commuovere dalle lacrime di Buffon? O dal pianto di Barzagli? Chi non ha partecipato al dolore di Conte, alla sua voce strozzata, chi non ha creduto al romantico racconto del «non sarà mai più possibile una cosa così»? Chi non s’è sentito partecipe del dramma calcistico di Pellè, da sconosciuto a eroe, da eroe a vinto, tutto nel giro di pochi giorni, da emigrante a fenomeno, da fenomeno a bulletto sbagliarigori, su e giù con l’altalena delle emozioni più incredibili? E chi, perciò, alla fine non s’è sentito disperato dentro l’inarrivabile disperazione del gigante ballerino? «È finita per sempre», hanno ripetuto in tanti sapendo che quella per loro poteva essere l’ultima occasione. «È finita per sempre», ripetevano mentre piangevano inconsolabili e si umiliavano chiedendo scusa per gli errori. «È finita per sempre», sussurravano ai giornalisti mentre scivolavano via verso il tunnel di un dolore che sembrava senza fine, inevitabile inizio del viale del tramonto. E invece il tunnel è finito assai presto. Il «per sempre» è durato poco più di 48 ore, lunghezza media sul meridiano di CalcioTweet. E il viale del tramonto ha lasciato posto al più consono caviale del tramonto. Servito con tartine al patè. Sono cominciate ad apparire le prime vostre foto delle vacanze, cari eroi, macchie di gioia soleggiata, cartoline dalla felicità, dove l’unico rigore possibile sembra essere il divertimento, l’unico rigore, fra l’altro, che a quanto pare non sbagliate mai. E le lacrime? E gli occhi velati? E le facce scure? Tutte sparite in un lampo. Ora si vedono solo sorrisi, schiamazzi, piscine di gioia. Senza rimpianti. Come a dire: abbiamo perso la semifinale, ma vuoi mettere l’aperitivo con la sangria a Formentera?
Che ci volete fare? A vent’anni ci si consola in fretta. Soprattutto se si ha una moglie modella, un flut in mano, il biglietto per le Maldive e un contratto milionario depositato in banca. Nessuno può pretendere dai calciatori che si chiudano nel lutto, nessuno può chiedere loro di portare il cilicio, o di conservare per sempre i segni della sofferenza sul volto. Ecco: però qualche Istagram in meno sì, forse quello lo si può chiedere. Non è vietato essere felici, è soltanto un po’ indelicato esibirlo a tutto il mondo, linguacce comprese, dopo essersi mostrati affranti come vedove inconsolabili. Dalla disperazione allo champagne il passo è breve, anche per chi ha sbagliato il rigore decisivo, si capisce. Basta soltanto che non ce lo sbatta in faccia, non in modo così ostentato, almeno. Perché, vedete cari eroi, noi a quelle lacrime ci avevamo creduto sul serio. E ci piacerebbe continuare a illuderci, come bambini, che fossero vere