la Repubblica, 6 luglio 2016
Tour de France, ieri Kittel ha battuto Coquard per soli due centimetri
Nel paese delle porcellane qualcosa doveva pur rompersi. Ed è la speranza di Bryan Coquard, che i francesi chiamano Le Coq, come il gallo simbolo della nazione. La tappa più lunga (237,5 km) si accende e consuma in un lampo. Se Cavendish il giorno prima aveva vinto di una gomma, Kittel ieri di mezza gomma, due centimetri. Coquard nel gruppo di velocisti è il più giovane, 24 anni, ma con medagliere notevole: argento ai mondiali Under 23 in linea nel 2012, argento nell’omnium olimpico, oro mondiale nel 2015 nell’americana. È stata una volata atipica, con qualche nome nuovo nei 10. Cavendish solo ottavo, Greipel più lontano, 19°, ma Sagan sempre tra i primi. Coquard era alla sua ruota, l’ha saltato bene, ma quando sembrava che potesse infilare Kittel c’è stata una strisciata non dolosa, tra professionisti, spalla contro spalla, a 5 metri dalla linea bianca. E lì s’è bloccata la rimonta di Coquard.
Bello ma non impassibile (una serie di “ja” urlati appena arriva l’esito del fotofinish) Kittel aveva cominciato bene la stagione, dopo un 2015 disastroso. Due tappe al Giro, in Olanda, maglia rosa, si ritira prima della cronometro in Chianti senza un valido motivo. Risibile quello comunicato ufficialmente: la necessità di un periodo di riposo in vista del mondiale in Qatar. Detto in maggio, con il mondiale in ottobre, non sta in piedi. Ricordato il precedente poco simpatico, Kittel ha vinto bene, sprint di potenza su un rettilineo in leggera salita (5%). Lo ha pilotato come si deve la squadra, Sabatini in particolare. Dice Kittel: «Una vittoria ci voleva. Secondo io il primo giorno, secondo ancora Alaphilippe a Cherbourg. La terza tappa, giornata nera. Non è che ci siano tantissime occasioni per gli sprinter. No, non ero sicuro di aver vinto. Ai 100 metri ho pensato che mi sarebbero scoppiate le cosce, per lo sforzo. Con le ultime energie ho dato il colpo di reni. Mi complimento con Coquard, ha fatto una grandissima volata».
Coquard è molto deluso. Ma Jean René Bernaudeau, il gregario cui Hinault lasciò la vittoria al Giro nel giorno dello Stelvio, lo incoraggia: «Sei giovane ma resistente, qui ci sono i migliori sprinter del mondo e battersi alla pari con loro è una bella scuola. Spero che vincerai sui Campi Elisi, è l’arrivo più adatto ai tuoi mezzi». Perché è vero che le speranze s’infrangono come porcellane, ma si possono anche costruire. Piccole notizie: ieri era il compleanno di Kristoff (29) che arriva quinto e il Tynwald Day, la festa dell’isola di Man. Ma Cavendish s’è visto poco e pure la sua squadra, segno che Cannonball non era in giornata Però s’è visto più convinto il sole. Quasi nessuna caduta e, da Mont St. Michel a ieri, nessun ritirato. Non succedeva dal 2005. Ieri e oggi (il Tour passa da St.Léonard de Noblat, il suo paese) bagno di popolarità per Poulidor: 80 anni, capelli bianchissimi, faccia da contadino. «La mia fortuna è di avere avuto tanta sfortuna», è il suo biglietto da visita. È al cinquantaquattresimo Tour, più della metà visto che il totale è di 103. Quattordici li ha corsi in bici: 8 volte sul podio, tre volte secondo e cinque terzo, l’ultima volta nel ‘76, a 40 anni. Tutti gli altri per la pubblicità, per i giornali, perché è Poulidor.
La tappa di ieri, la più lunga, vive (vivacchia) su un solo tentativo: via in 4 a 210 km dal traguardo. Sorte segnata in partenza, tanto più che il gruppo è particolarmente sparagnino e più di 6’ non concede. Si tratta di Gougeard, Schillinger, Irizar e Naesen, gli ultimi a cedere. Oggi dovremmo assistere a uno spettacolo diverso: ci sono le prime salite vere, non micidiali ma fastidiose. Quando Froome si sente bene, dà un gran colpo alla concorrenza nella prima tappa di montagna vera (così nel 2013 e nel 2015), quindi non oggi, ma 4 Gpm negli ultimi 40 km possono restare sullo stomaco. Specialmente il Pas de Peyrol. È la Francia profonda, si passa dal Corrèze al Cantal, comincio a sentire aria di casa, e di corsa. Intanto, l’Uci sembra fare sul serio quanto a controllo delle bici, a cercare motorini nascosti. Ieri controllate 190 bici, praticamente tutte. Avanti così. Considero il motorino un trucco più abietto del doping. Se ti dopi, rischi qualcosa di tuo (la salute, per esempio). Truccare la bici è come segnare le carte a scopa o a poker. Più diventa difficile truccare l’atleta, più si pensa a truccare il mezzo. Con la possibilità di effettuare prelievi anche dalle 23 alle 6 si rischia pure con le microdosi di Epo. Meditate, ciclisti.