Corriere della Sera, 6 luglio 2016
A Parigi la celebrazione dell’alta moda, tra le sarte di Chanel e i velluti di Armani
Parigi Armani fa belle tutte le donne, ma sì, anche quelle capricciose, pretenziose ed esigenti come le clienti dell’alta moda. Avendo la possibilità di avere tutto e di spendere centinaia di migliaia di euro per abiti e affini non si accontentano mai e vogliono sempre qualcosa in più, di speciale, di meglio. «Hanno e fanno la loro vita che non ha nulla a che vedere con le nostre», racconta Giorgio Armani nel descrivere poco prima delle show del Privé i suoi meravigliosi abiti, capolavori per tagli, costruzioni e ricami, come deve essere in una haute couture che si dica tale. «E invece vedo altro che assomiglia al prêt-à-porter – la butta lì —. Ma l’alta moda ha le sue regole. Dall’esclusività alla sartorialità. Ci vogliono atelier con almeno cinquanta sarte, è un investimento pazzesco. Non uno scherzo». E dalle considerazioni alla conclusione sulla bellezza. «Avevo fra le mani questa foto artistica con una signora elegantissima e mi sono detto che questo sarebbe stata il tema/scopo della collezione: rendere la donna bellissima e a prescindere dall’età». E la magia ha inizio in un crescendo ad ognuna delle cinquantacinque uscite. Uno sforzo creativo di grande maestria secondo i codici armaniani: il velluto nero intenso per i lunghi abiti scivolati con lo strascico o i completi con i pantaloni alla turca e le giacchine piccole e con le spalle insellate; il tocco maschile nei tailleur di sete a motivi Principe di Galles; le cappe avvolgenti che ci chiudono con i grandi fiocchi; le vesti colonna dai ricami super preziosi; e i copricapi di piume che imbizzarriscono la sera. Tutto è nero e bianco, leggere sfumature di rosa e verde acqua. Sono entusiaste in prima fila Cate Blanchett e Audrey Azoulay, ministro della cultura francese.
Alla ricerca della couture perduta? Sembrerebbe di sì. Quasi un voler mettere i puntini sulle i anche Karl Lagerfeld per Chanel profana la sacralità della segretezza dell’atelier (difficilissimo accedervi) e porta tutte le maestranze in passerella. Ricostruisce le stanze della sartoria sotto le volte del Grand Palais e lascia che sarti e sarte lavorino (cuciono, tagliano, ricamano, assemblano, drappeggiano) sotto gli occhi di tutti. Non solo. Al termine dello show il kaiser esce a braccetto con le quattro première (le «cape» di ogni atelier) anziché coccolato dalle top. L’omaggio è quello al lavoro incredibile che c’è dietro ad ogni pezzo. Così la collezione, molto preziosa. Ricamata e ricercata oltre misura. Dove la novità è il nuovo tailleur con il pantalone alla caviglia scampanato e la giacca un po’ più lunga e anche lei svasata. La silhouette a campana è il leit motiv anche negli abiti e nei capi spalla. Non facilissima, no. Però sofisticata.
Folgorato da «Russian Ark», un kolossal dove in un paio di ore scorrono le immagini di tre secoli di storia della Russia fra le 33 stanze dell’Hermitage, Giambattista Valli si fa narratore della stessa ma in abiti che non sentono lo scorrere del tempo. Creazioni corte con una serie infinita di mini abiti, vagamente baby doll, incrostati o di chiffon volteggianti o lunghi spumeggianti quando non sono impero molto come nel film.