Corriere della Sera, 6 luglio 2016
Da ieri la sonda Juno orbita intorno a Giove
Si può dire che la storia continua. Galileo Galilei scopriva le quattro maggiori lune di Giove rivoluzionando l’astronomia e ora due strumenti preparati dagli scienziati italiani e imbarcati sulla sonda Juno della Nasa sono pronti ad affondare i loro occhi elettronici per indagare la natura più intima del gigante del nostro sistema solare. Dopo cinque anni di viaggio il nuovo robot cosmico da 1,1 miliardi di dollari è da ieri mattina sicuro in orbita al pianeta più variopinto e denso di misteri del corteo solare.
«È una bella soddisfazione sapere che tutto funziona sulla sonda dopo che il suo contachilometri ha raggiunto i 2,8 miliardi», commentava con una battuta Rick Nybakken alla guida della spedizione al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena in California. Quando il segnale è arrivato tra grida di gioia tutto era già accaduto da 48 minuti e 19 secondi, tanto infatti era il tempo impiegato per percorrere la distanza immensa che ci separa, anche viaggiando alla velocità della luce. Giove è stato sorvolato a partire dagli anni Settanta da numerose sonde della Nasa, dai Pioneer ai Voyager, da Cassini a New Horizon, compiendo ricognizioni importanti ma limitate.
Una sola, battezzata Galileo, si era fermata nel suo circondario lasciando cadere tra le nubi una capsula per misurarle meglio. Ma le osservazioni erano sempre in superficie.
Ora Juno, per la prima volta, scruterà nel suo interno per capirne la natura e sciogliere qualche enigma. Lo farà indirettamente perché lo strato nuvoloso che lo avvolge è impenetrabile mantenendo inviolati i segreti. Da 200 anni mostra un perenne ciclone, la «Grande macchia rossa», grande due volte la Terra e ancora non si che cosa lo scateni.
Giove è una stella mancata formatosi con la maggior parte del materiale non intrappolato dal Sole. Non avendo raggiunto una massa sufficiente non si è acceso ed è rimasto un gigante gassoso di idrogeno ed elio trecento volte più massiccio della Terra. Ruota velocissimo compiendo un giro in sole 10 ore. Scendendo, poi, in profondità la pressione sale vertiginosamente riuscendo a mantenere liquido l’idrogeno mentre libera intorno violente radiazioni e un campo magnetico 20 mila volte più elevato di quello del nostro globo azzurro. Un mondo infernale, al quale Juno si avvicinerà sino ad un’altezza di 4.900 chilometri affrontando un rischio mai tentato prima ma necessario per raccogliere dati sennò impossibili. La sua imponente forza di gravità, perturba lo spazio sino a grandi distanze tanto da ritenere che buona parte delle sue oltre sessanta lune siano in realtà degli asteroidi attratti dalla sua forza.
«Con il nostro Jiram misureremo quanto vapore acqueo e quanto metano ci sia nelle nuvole – spiega Alberto Adriani dell’Istituto nazionale di astrofisica e responsabile dell’esperimento —. Con l’altro apparato italiano Kat dell’Università La Sapienza di Roma indagheremo la struttura interna del pianeta cercando di capire se abbia un cuore denso e quanto sia massiccio. Al di fuori, guarderemo come interagiscono gli elettroni con il campo magnetico generando spettacolari aurore».
«La partecipazione italiana – nota Roberto Battiston, presidente dell’Asi che condivide la spedizione – dimostra il livello raggiunto dai nostri scienziati e dagli ingegneri delle nostre aziende realizzatrici degli esperimenti come Leonardo-Finmeccanica e Thales Alenia Space». Aspettiamo che Juno in 78 mesi racconti la storia del gigante che ora vediamo brillare in cielo.