la Repubblica, 6 luglio 2016
Intervista a Yoann Lemaire, il primo calciatore francese che fece coming out. Ed è rimasto il solo: «Un calciatore avversario sa che può destabilizzarti con l’insulto. Ma più di tutti i compagni possono essere crudeli. Uno mi disse che s’imbarazzava a fare la doccia con me. Altri, mescolando la mia omosessualità con la loro fede, mi chiesero di non dividere più lo stesso spogliatoio»
Yoann Lemaire è tornato a vivere a Vireux-Wallerand, nelle Ardenne. Sette anni fa davanti a una camera di France3 fu il primo calciatore francese a fare coming out. È rimasto il solo. Giocava fra i dilettanti del Chooz, dovette cercarsi un’altra squadra. Rapporto concluso, disse il club, «per proteggere entrambe le parti». Nel frattempo Lemaire ha scritto un libro, forse ne faranno un film, ogni tanto viene squalificato perché reagisce agli insulti in campo. «Ho 34 anni e ho già subito troppo». Gli Europei per Lemaire sono lontani.
Ha mai avuto rimpianti?
«Sportivamente sì. Avrei voluto giocare a livelli più alti. Per farcela avrei dovuto mentire su me stesso. Umanamente nessun rimpianto. Mi sono reso conto della stupidità di compagni che stimavo. Sono stato sincero, volevo quello».
Come si protegge un segreto nel calcio?
«Male. A 22 anni stavo con un calciatore avversario. Ci siamo lasciati, anzi lui mi ha lasciato dicendo che voleva “tornare normale”. Etero. Mio padre stava morendo di cancro. Soffrivo, ero felice solo in campo. Ma diventavo pazzo se qualcuno in partita gridava: frocio. Sentii il bisogno di parlarne. I miei compagni avevano tutti delle ragazze, quando si usciva insieme dovevo mentire sulle mie relazioni. Non riuscivo più a fargli credere che fossi etero e sempre solo. Pensai che la verità mi avrebbe fatto stare meglio».
A chi ne parlò?
«All’allenatore, poi ai compagni. All’inizio scherzando. Certi si vantavano, raccontavano i loro exploit sessuali, chiedevano: e tu? Cominciai a dire che era possibile ch’io avessi passato la notte con un amico, con un avversario, e così via. La mia famiglia l’ha saputo dalla stampa».
Reazioni?
«Il club mi allontanò dopo 14 anni insieme. Un omosessuale in uno spogliatoio è complicato da gestire. Alcuni compagni erano diventati intolleranti perfino nel guardarmi. Anche la risonanza mediatica li infastidì. L’omosessualità ripugna. Un calciatore razzista può passare dei guai, di un calciatore omofobo non importa a nessuno».
Chi reagisce peggio: tifosi, compagni, avversari?
«Per i tifosi di un’altra squadra è più facile urlare il loro odio e chiamarti pédé. Vengono allo stadio per sfogarsi anche se non sanno dare un calcio a un pallone. Un calciatore avversario sa che può destabilizzarti con l’insulto. Così si sentono superiori, macho, potenti. Ma più di tutti i compagni possono essere crudeli. Per prendere il tuo posto farebbero di tutto. Ce n’erano alcuni disposti a umiliare. Uno mi disse che s’imbarazzava a fare la doccia con me. Altri, mescolando la mia omosessualità con la loro fede, mi chiesero di non dividere più lo stesso spogliatoio».
Le istituzioni cosa fanno?
«Nulla, la cosa non li riguarda. Gli omosessuali sovvertono il gioco, portano problemi. Perciò non mi permetto di consigliare a un calciatore gay di fare coming out. Dipende dal carattere, dalla personalità, dal rapporto con i compagni, i dirigenti, l’allenatore. È deludente che l’Uefa non abbia concesso agli Europei il minuto di silenzio per le vittime della strage gay di Orlando».
È per questo che i calciatori professionisti preferiscono il segreto?
«Gli agenti e gli allenatori consigliano di non parlarne. È rischioso. La stampa, gli sponsor, la folla: devi affrontare critiche e disprezzo. Spesso da solo. Già tanti tifosi insultano, figurarsi se si sapesse che sei gay… Così si preferisce la carriera. Girano tanti di quei soldi intorno al calcio…».
Cos’è cambiato per lei da allora?
«Gioco in una piccola squadra della mia città e con il Varietes Club de France, vecchie star che si esibiscono per beneficenza. Karembeu, Blanc, Deschamps, qualche volta Zidane. Sono cambiate molte cose per me. Un calciatore felice sta meglio di testa, sul campo si libera. Ma nel calcio non è cambiato nulla. Troppa intolleranza, troppi cliché. Il calciatore deve essere virile. Basta un omosessuale per condizionare un gruppo».
La insultano spesso?
«Un avversario proprio di recente. È entrato duro per colpirmi, gridando: ora mi faccio il frocio. Mi sono rialzato e l’ho picchiato. L’arbitro mi ha espulso, è stato inutile parlargli alla fine: non ha riconosciuto gli insulti come omofobi. È vergognoso colpire un avversario, non è da me, ma ho provato sollievo. Ho 34 anni e ho subito troppe cose per la mia omosessualità. Lui ha avuto la sua lezione. Voleva fare l’uomo e ha perso. Lo so, è bestiale. Ma mi consola».