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 2016  luglio 06 Mercoledì calendario

Koopman e Rivera incaricati di trovare il modo per lo Stato di sostenere Mps, tra pressioni tedesche e pericoli di contagio

Appartengono alla stessa generazione, le loro carriere in fondo si somigliano e entrambi hanno alle spalle organizzazioni segnate da falle e crepe sempre più evidenti. Gert Jan Koopman e Alessandro Rivera – l’uno vicedirettore generale per gli aiuti di Stato alla Commissione Ue, l’altro dirigente generale del Tesoro per le banche – sanno che nei prossimi giorni dovranno dedicarsi a un’attività che conoscono entrambi molto bene: passare insieme più tempo di quanto probabilmente vorrebbero.
Su Koopman, un 50enne olandese di origine boera che ha passato metà della sua vita nella Commissione Ue, e sul 45 enne Rivera – entrato al Tesoro ancora fresco di studi – in questo luglio incendiario per le banche italiane pesano gli stessi problemi. Il più immediato è trovare una strada perché il governo italiano versi alcuni miliardi nel Montepaschi, limitando per quanto possibile i costi politici e finanziari dell’operazione. Il problema sullo sfondo è però esattamente ciò di cui i due eviteranno di parlare: sia Koopman che Rivera oggi rappresentano strutture politico-amministrative instabili e in transizione.
A Bruxelles non è passato inosservato in questi mesi di confronto quanto spesso fosse assente Vincenzo La Via. Direttore generale del Tesoro di Roma – il ruolo che fu di Mario Draghi negli anni 90 —, La Via presiede il comitato per la stabilità finanziaria degli sherpa economici di massimo livello nella Ue. A Bruxelles si concede che sarebbe stato un interlocutore di peso se non avesse lasciato a Rivera, un collega più in basso nelle gerarchie, molto del negoziato. Né è sfuggito che sulle banche non sia emerso un interlocutore da Palazzo Chigi, benché tutte le scelte decisive siano di natura politica e il premier Matteo Renzi le rivendichi per sé.
Quanto a Koopman, non ha dietro si sé una situazione molto più semplice: il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ormai è costretto a smentire le proprie dimissioni due volte la settimana; non tutti i commissari Ue accettano le sue indicazioni e, dalle trattative con Londra all’accordo commerciale sul Canada, la Commissione continua a perdere funzioni. Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze tedesco, punta a spogliare l’esecutivo di Bruxelles di alcuni dei suoi poteri. Su questo sfondo per Koopman esercitare il più diretto fra essi non è semplice, perché la vigilanza sugli aiuti di Stato alle banche sta diventando una disciplina sempre più politica.
Schäuble e Jeroen Dijsselbloem, il ministro delle Finanze olandese e presidente dell’Eurogruppo, stanno facendo sentire la propria pressione. Entrambi avversano l’idea che all’Italia venga permesso un intervento pubblico sulle banche senza che nessuno investitore privato paghi qualcosa. Per Schäuble e Dijsselbloem, salvare con denaro pubblico tutti i creditori degli istituti ne incoraggia l’irresponsabilità e assorbe risorse delle tasse per rimediare agli errori dei banchieri. Negoziatore difficile ma di prima classe, Koopman ora offre all’Italia un compromesso: una «ricapitalizzazione preliminare» quando a fine luglio Montepaschi emergerà dagli esami dell’Agenzia bancaria europea con evidenti fragilità. Verrebbero risparmiati in pieno i depositanti, compensati i piccoli investitori che detengono le obbligazioni più rischiose della banca, mentre gli investitori professionali come assicurazioni o fondi dovrebbero subire perdite.
Visto dall’Italia, questo è un modo per mandare in frantumi la fragile fiducia che resta nel Paese e per complicare l’accesso al finanziamento di tutte le altre aziende. Potenzialmente, è anche un modo per riportare il contagio fino ai titoli di Stato. Non può essere un caso se Berlino difende queste norme, ma non ha mai applicato la stessa ghigliottina sugli aiuti di Stato e le garanzie pubbliche che continua a concedere alle banche tedesche. Da Roma si vorrebbe aggiustare il compromesso con una clausola che può evitare qualunque perdita dei privati: è al paragrafo 45 di una «comunicazione» della Commissione Ue sugli aiuti di Stato del 2013 e prevede deroghe «se la stabilità finanziaria è in pericolo».
Arrivarci non sarà facile. Spagna e Portogallo, avendo pagato prezzi elevati alle crisi bancarie, non accettano l’impressione che l’Italia abbia trattamenti di favore. Danièle Nouy, la presidente della vigilanza bancaria nella Banca centrale europea, ha scritto a Siena come a molte altre banche. Per lei oggi ha senso pressare Montepaschi: tutti gli interventi più ruvidi della francese in Italia, da ultimo sulle banche venete, alla fine hanno sempre prodotto a nuovi rafforzamenti patrimoniali.
Una soluzione probabilmente si troverà, perché nessuno intende rischiare uno choc su una grande banca dell’ottava economia del mondo. La scelta finale sul sacrificio da accettare spetta a Renzi e, visto lo stato di Mps in Borsa, non ha molti giorni per farla. Si chiama Unione bancaria, ma mai nome europeo dev’essere suonato al premier più orwelliano.