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 1916  gennaio 02 Domenica calendario

Dall’alleanza alla guerra

Dall’alleanza alla guerra
Con questo titolo Antonio Fradeletto ha pubblicato quella sua bella conferenza, che, ripetuta nelle principali città italiane,ha fruttato – anche questo dev’esser detto – alcune diecine di migliaia di lire all’opera dell’Organizzazione civile.
Ma – io credo – i frutti morali di questa pertinace opera di propaganda patriottica a cui – solo fra i nostri uomini politici – si è sobbarcato l’illustre deputato per Venezia – sono ancora più cospicui. Antonio Fradeletto ha voluto fare, e ha fatto, principalmente ed essenzialmente opera di storico: e il soffio d’entusiasmo nazionale che tutta anima e pervade questa prosa vivace e colorita, non ha in niente infirmata la rigida obbiettività del narratore e del coordinatore dei fatti. Per questo io dicevo che questa nobile fatica di Antonio Fradeletto fu opera feconda di propaganda civile e patriottica; e più sarà se – com’è da augurare – la lettura di questo opuscolo, che condensa in meno di cento pagine la storia politica e diplomatica della nostra guerra, verrà largamente diffusa. Al quale proposito mi permetterei di suggerire a qualcuno di quei pietosi e intelligenti uomini che mandano al fronte libri e pubblicazioni da dare in dono ai soldati, di mandar lassù molte copie di quest’opuscolo: è bene che i nostri valorosi i quali durano disagi e affrontano la morte per l’Italia, sappiano dalla viva fedele e ordinata narrazione dei fatti, che questa guerra è stata per l’Italia non soltanto una necessità morale, ma una vera e propria «necessità politica», a cui il nostro Paese non avrebbe potuto sottrarsi senza correre rischi di gran lunga maggiori di quelli che la dura e difficile lotta permetteva.
Il Fradeletto comincia ad illustrare la genesi e il primo svolgimento della Triplice Alleanza; ed è di una persuasiva chiarezza quando narra e documenta i metodi sleali con cui l’Austria, fin da principio, corrodeva il contenuto del Trattato. E bene a ragione lo scrittore ha rievocato a questo proposito, un discorso – troppo a torto dimenticato – pronunciato dall’uomo insigne il quale regge da un anno la nostra politica estera. L’on. Sonnino, in un suo discorso detto alla Camera il 2 dicembre 1908 – sette anni fa, esattamente – aveva dimostrato di avere, fin d’allora, la lucida visione di ciò che erano – e di ciò che sarebbero inevitabilmente diventati i nostri rapporti con l’Austria; egli dichiarava esplicitamente che l’austriaca annessione della Bosnia e dell’Erzegovina era stata una aperta violazione del Trattato di Berlino: e che invano, con questi metodi di politica della Duplice Monarchia, si poteva sperare, anche da chi esattamente valutava i vantaggi dell’Alleanza, che quest’alleanza potesse «a questo prezzo mantenersi durevolmente viva e vitale».
Piace – e giova – ricordare queste ormai vecchie parole dell’uomo che otto mesi fa, maturati i tempi, ebbe il fermo e meditato coraggio di denunciare un Trattato che l’Austria aveva ripetutamente, e con pertinace malevolenza anti-italiana, stracciato; perché è cosi provato, una volta di più e con la serena autorità dei documenti, che con perfetta lealtà – e a costo di quanti sacrifici di amor patrio! – l’Italia aveva tenuto fede al suo patto d’alleanza finché aveva potuto sperare che esso costituisse ancora quella «sicura garanzia di pace» che ne era la prima e fondamentale ragione; e che quel patto era stato denunciato soltanto allora che, caduta irrevocabilmente questa speranza, il mantener fede a quel patto sarebbe stata per l’Italia – a cui si negava ogni legittima soddisfazione, ed ogni garanzia di non meditare spogliazioni a danno di popoli liberi – non tanto un’ingenuità puerile, quanto una confessione di complicità, incompatibile col nostro spirito politico.
E prosegue l’autore largamente illustrando la lunga premeditazione dell’aggressione austriaca contro la Serbia, e finalmente la non discutibile né attenuabile «colpa» della Germania che, opponendosi ad ogni proposta – anche semplicemente sospensiva – della Diplomazia inglese, francese, russa ed italiana, volle precipitare l’Europa nello spaventoso conflitto. E la dimostrazione dell’assoluta impossibilità «morale e politica» in cui si trovò l’Italia di continuare a mantener la neutralità, acquista nelle eloquenti pagine di Antonio Fradeletto un’evidenza così lurida, che nessun uomo di buona fede potrà mai infirmare o negare.
Leggano gli italiani queste belle pagine: ne avranno conforto e gioia. Perciò nessuno in Italia – all’infuori di pochi esaltati che divengono talora inconsapevoli strumenti di fosche manovre affaristiche – nessuno in Italia ha voluto «la guerra per la guerra»: ma tutti hanno voluto, e vogliono, «questa guerra» – qualunque sia il sacrificio che essa costi, – giacché, torpidamente perseverando in una flaccida inerzia neutralistica, l’Italia avrebbe abdicato alla sua stessa «ragion di vivere», e si sarebbe scavata, con le sue proprie mani, la fossa.