Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1916  gennaio 02 Domenica calendario

Elevazione

O imagine divina,
dalle nebbie affiorante nel candore
che ti consacra,
o testa resupina,
che dal sole levante
soffuse di baglior di rosa e d’oro
hai le chiome prolisse di medusa
e le raccolte vertebre dell’ali:
e chi ninfa nivale e chi regina
ti disse e molte favole silvane
dalle valli concluse
salirono all’azzurro
ed ebbero con te luce dall’alba.
Ma sol d’Italia sei,
o testa resupina,
la imagine divina,
che tu prima sentisti,
dal giogo eccelso dei monti appennini,
risonare nel piano alle tue balze
l’auspicio sacro agli uomini e agli Dei,
e fu la forza dei Confederati
accesa e fusa col nome di Roma
in un sol nume: Italia!
Chi dirà lo stupore delle genti,
quando la bocca ferma nel macigno
s’animerà pel canto?
Ché di glorie incalzanti
per volgere di secoli ella chiude
eco sì vasta, che non è più vasto
il rutilar del sole, e la vicenda
incessante del tempo
e la voce del mar calmo o furente.
Sotto il vel delle palpebre
la pupilla acutissima intravede
le falangi che vanno;
e i naviganti ripiegando al lido
dell’italico golfo,
e i valligiani, sollevando il pugno
pieno e già pronto al lancio aureo dei chicchi,
perseguono con l’anima e con gli occhi
il tuo sogno sublime,
e nel cuore l’accolgono,
ampia reale vision che avanza
ogni altra degli antichi epici canti.
Cresce al tuo piede e vegeta immortale
la quercia primigenia che su l’alpe
e sui tre mari slarga i rami a croce!
Ma più, fin dove si protende l’ombra
della quercia a le lance degli abeti,
Iddia, lo sguardo tuo si appunta e spazia.
Fra le sovrane nuvole rimiri
innalzarsi lo stuolo dei tuoi figli:
in abissi di luce
svola la rossa fantasmagoria:
di qui, su per la valle
dell’Adige sonante,
di qua, lungo il Timavo del mistero –
verso l’ultima vetta dominante,
come te bella del bel nome Italia.
Se dalla tua serenità si eterna
il miracolo antico degli auspicii,
nulla invano è salito,
nulla cadrà di tanto ardor di sangue,
che dal sangue fermenta
ed ha la coltre pura della neve
per la gloria perenne del martirio.
È saldo il tronco; è quercia ed è calcare:
quercia nelle carene,
schietto calcare nelle Dolomiti
come nell’ossa dei tuoi figli adesi
coi ginocchi e le nocche
alla roccia implacabile e pur vinta:
lotta inumana,
che offusca ogni peana
d’Apocalisse biblica,
e lancia dalle forre
dalle vertebre ascose della terra
per ogni cresta che risplende al sole
le fiamme degli spiriti
– nuova luce di vita –
a illuminare il mondo.
Mùlina il vento il fiore della neve,
pare ne svolga fiati di fantasmi:
non meno bianca e trepida
sul candore universo
s’affanna la pietà delle tue donne.
Regine e ancelle strette in un dolore,
di un solo amore ardenti,
lasciaron gli agi,
discesero i palagi,
e corron le campagne gli ospedali
i vicoli i tugurii:
tutte tutte sorelle
alle vedove madri,
alle spose deserte,
ai mùtili, ai feriti ed ai morenti.
Una croce di sangue
hanno stampata in petto;
quella più vera,
ribadita dall’ansia delle veglie,
è dentro il cuore, e alfine esala in muta
lunghissima preghiera.
Solleva, Iddia, la fronte! Accogli, irraggia
nella luce immortale
il cuor dei vivi e l’anime dei prodi!
Santa è la forza
se pel bene contende,
e pel bene difende:
divina purità, tu la suggelli.