Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 05 Martedì calendario

E ora il Regno vuole abbassare le imposte delle società dal 20 al 15%. Il primo passo verso il paradiso fiscale

Imposta societaria ridotta dal 20 al 15%. Così il Regno Unito si prepara a essere, almeno sulla carta, il prossimo paradiso fiscale concorrente dell’Unione. Obiettivo primario, spingere le imprese (specie se di grandi dimensioni) a scegliere la Gran Bretagna come propria base. La proposta è trapelata dalla pubblicazione sul Financial Times dell’intervista al ministro delle finanze inglese, George Osborne, lo stesso che, qualche ora dopo la vittoria della Brexit, aveva dichiarato che le conseguenze immediate per il Regno Unito sarebbero state aumento delle tasse e taglio della spesa. «Dovremo garantire sicurezza fiscale alla gente», aveva dichiarato lo stesso alla Bbc, «dovremo mostrare al paese e al mondo che il governo può farcela con i propri mezzi». Ora la strategia sembra prendere una diversa strada.
In un clima di incertezza diffusa e a fronte dell’instabilità legata alle dimissioni del primo ministro David Cameron, alla rinuncia alla candidatura come Premier del conservatore Boris Johnson e all’annuncio di Nigel Farage, promotore della Brexit, di lasciare il mondo della politica, Osborne è intervenuto facendo leva su un ever green della fiducia economica: il livello di tassazione. Il ministro, ex sostenitore del Remain, ha così affilato il coltello della competitività internazionale, ponendosi (per ora solo a parole) in concorrenza con la vicina Irlanda, la cui tassazione societaria (tra le più basse al mondo) segna il 12,5%. Londra, che dallo scorso marzo aveva già in programma di abbassare entro il 2020 la corporate tax al 17%, potrebbe ora mirare a sviluppare un sistema «a fiscalità privilegiata» (una sorta di dumping sul costo delle tasse) che funga da calamita per le big del commercio e della finanza. Sebbene non vi sia stato ancora ricorso formale all’articolo 50 del trattato di Lisbona, che segnerà l’inizio delle pratiche di scissione del paese dall’Unione, l’Organizzazione mondiale del commercio ha spiegato come, nell’ottica di preservare rapporti di comune interesse tra Regno Unito e Ue, una tax competition condotta in tali termini non è incentivo per pacifiche negoziazioni future.
La libertà d’azione sulla tassazione, in autonomia rispetto ai dettami dell’Unione, dovrebbe permettere alla prima città della Gran Bretagna, Londra, di ottenere entro due anni maggior controllo sugli aumenti della pressione fiscale: attualmente si stima infatti che il governo londinese gestisca solo il 7% degli aumenti impositivi, nettamente al di sotto del 50% in capo a New York e al 70% di Hong Kong. Nel mirino resta comunque il mantenimento dei capitali entro i confini britannici, che dovrà tradursi in un’azione volta a non far defluire la ricchezza interna verso le «nuove» piazze finanziarie d’Europa, in primis, Dublino e Francoforte.