la Repubblica, 5 luglio 2016
Diamo alle cose il loro nome: è terrorismo islamico
Poiché nove nostri concittadini sono stati uccisi all’arma bianca per la grave colpa di non conoscere il Corano; e poiché chi li ha uccisi gridava che Allah è grande; fa una certa impressione, nelle dichiarazioni ufficiali delle nostre autorità, udire la molto generica definizione di “terrorismo” senza riferimento alcuno alla matrice islamica (rivendicatissima) di quel massacro.
Si capisce che il problema (enorme) è non far coincidere quell’abominio con una comunità religiosa che comprende più di un miliardo di esseri umani, in larghissima maggioranza non imputabili di alcunché e anzi vittime a loro volta, e in prima linea, del fondamentalismo omicida. Però c’è un limite anche alle buone intenzioni; e soprattutto c’è un maledetto bisogno di dare alle cose il loro nome, anche se farlo può costare qualche attrito, qualche malumore. Si decida quale classificazione è la più congrua (terrorismo islamico, di matrice islamica, islamista) e infine la si adoperi, perché non farlo risulta, alla lunga, un segno di debolezza e di confusione. No, non è “il terrorismo” che fa scorrere il sangue degli “impuri” nei caffè, nei teatri, nei ristoranti, negli aeroporti, nei mercati. È il terrorismo islamico e dirlo non può che fare bene anche all’Islam, che si ritrova in corpo un mostro e deve sapere dove cercarlo.